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Vi racconto come nacque l’indagine “Pizza Connection”

Quarto di una serie di articoli a firma dell’ex componente del Pool Antimafia Giusto Sciacchitano. Il primo è consultabile qui, il secondo qui, il terzo qui.

Certamente anche in passato queste indagini erano state esperite a Palermo in altri processi (ad es. quelle seguite all’omicidio Di Cristina) ma mai in modo così ampio e certosino, spulciando ogni singolo assegno emesso o versato dagli imputati e cercando di ognuno la causale. Giovanni in questo aveva una perseveranza e uno scrupolo quasi maniacale: grazie a questo scrupolo si è avuta la scoperta che una intera agenzia della Cram (Cassa Rurale e Artigiana di Monreale), con sede a Boccadifalco, serviva gli interessi della famiglia Inzerillo, si sono dimostrati collegamenti del gruppo Inzerillo-Spatola con personaggi calabresi e napoletani implicati nel contrabbando di sigarette (cui anche Inzerillo era dedito), si sono individuati rapporti con enti e società che da una parte introitavano denaro di provenienza illecita e dall’altra producevano ulteriore ricchezza.

Particolarmente interessante è stato verificare che parte dei proventi della vendita dell’eroina in America tornava a Palermo e finiva nell’impresa edile di Rosario Spatola e nell’azienda di Leonardo Greco a Bagheria.

Con il valido aiuto di tutte le Forze di Polizia, in mancanza di una banca dati, venne realizzato un sistema semplice ma sicuramente efficace di raccolta e catalogazione di ogni tipo di informazione, di ogni elemento di natura economico-finanziaria, di ogni correlazione tra fatti e persone per ciascun singolo imputato.

Una quarta indagine, antesignana di quelle del maxiprocesso e che infatti confluì formalmente in esso, è la c.d. “Pizza connection”. Essa era una continuazione del processo Spatola e imperniata sulla vendita dell’eroina, giunta da Palermo, in pizzerie di molte città americane e il reimpiego delle somme provento di tale traffico. Gli agenti Usa si avvalsero delle dichiarazioni di tale Amendolito, anch’egli non uomo della mafia ma che era stato reclutato per i suoi contatti con le banche delle Bahamas, dove trasferiva sacchi pieni di dollari in piccolo taglio. Ebbi l’incarico di rappresentare l’accusa anche in questo processo, con Giovanni Falcone titolare di questa indagine, con la quale si dimostrò che la mafia (tra gli arrestati nella operazione anche Badalamenti) era riuscita a nascondere la enorme massa di danaro, attraverso le Bahamas, in banche di molti Paesi off shore da dove poi veniva trasferita altrove per vari usi e investimenti.

Anche con il caso Amendolito, approfondimmo lo studio dei collaboratori di giustizia; ricordo che con i suoi avvocati affrontai una lunga battaglia processuale perché essi chiedevano che anche io, come avveniva in America, concedessi a lui la immunità. Ci accordammo nel senso che, se dall’Italia fosse giunta la richiesta di estradizione, all’eventuale rifiuto degli Usa noi non ci saremmo opposti.

Dal punto di vista delle indagini di p.g., poiché gli imputati parlavano a telefono in siciliano stretto e le eventuali traduzioni avrebbero richiesto molto tempo, si decise che una squadra della Polizia italiana si trasferisse da Palermo negli Usa dove, munita di regolari e ufficiali autorizzazioni, potesse seguire direttamente l’ascolto delle telefonate e partecipasse alle conseguenti operazioni. Non siamo ancora alla realizzazione delle squadre investigative comuni, ma l’idea forse nacque là.

In quel periodo iniziarono le dichiarazioni di Buscetta a Giovanni Falcone.

(4.fine)

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