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Di cosa (non) si discuterà al G20 di Amburgo

Dopo Parigi dove un ristretto G3 ha affrontato senza molti risultati i problemi del tricolore italiano, domani ad Amburgo l’ennesimo summit G20, l’incontro annuale dei leader delle maggiori economie mondiali. E la storia si ripete come è avvenuto a maggio: infatti come il g(minuscolo)7 di maggio, il rischio è quello di un vertice contraddistinto dalle divisioni, in particolare a causa dei crescenti contrasti tra gli Stati Uniti (il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi e le accuse rivolte alla Germania di pratiche commerciali scorrette per sostenere il proprio enorme surplus commerciale) e altri partecipanti, inclusi i partner europei. Forse -ma il forse è d’obbligo- il raduno così ampio, potrebbe aiutare ad ammorbidire e ad evitare un ulteriore allontanamento degli Stati Uniti dai forum multilaterali e a ottenere risultati concreti come nei summit di maggior successo. E mentre gli Stati Uniti si sfilano dall’accordo sul clima la Cina è diventata leader mondiale dell’energia delle pale eoliche.

Ma per quanto riguarda il commercio internazionale è certo un nuovo scontro tra paesi in deficit e paesi in surplus commerciale. Gli Stati Uniti, capofila dei paesi con un deficit ormai di lungo corso (per quest’anno l’IMF – il fondo monetario internazionale – ha dichiarato un deficit commerciale di oltre 500 miliardi di dollari, il 2,6% del PIL statunitense), hanno deciso di portare sul banco degli imputati non solo la Cina, che di recente ha ridotto il proprio surplus (previsto al 1,3% nel 2017 rispetto a un massimo del 10% nel 2007), ma anche l’Unione europea e, in particolare, proprio la Germania che presenta un surplus commerciale (+8,2% del PIL) e si attira le critiche anche di molti paesi europei. È stata la crisi internazionale del 2008–2009 a fare il passaggio sui temi della governance economica e finanziaria internazionale, dal G7/G8 al G20. E proprio al G20 viene spesso accreditato il merito di avere spinto i leader mondiali a rispondere in maniera coordinata alla crisi finanziaria, evitando che una profonda recessione si trasformasse in una prolungata depressione – soprattutto attraverso uno stimolo globale congiunto di ben 2000 miliardi di dollari. E con il passare degli anni e il recedere o modificarsi della crisi, il numero dei temi in agenda nel forum è aumentato in misura crescente. E, secondo i critici, di pari passo sarebbe diminuita la tendenza dei componenti G20 a tener fede alle promesse.

Comunque Merkel ha ribadito che non abbandona l’obiettivo di contrattare con Trump ma noi dobbiamo essere consapevoli che sull’immigrazione l’unica che ci ha aiutato e ci aiuta è la Germania. Merkel ha messo per la prima volta lo sviluppo economico africano tra le priorità dell’agenda delle principali economie mondiali. Nella cornice del G20, la presidenza di turno tedesca ha inserito diversi incontri che hanno coinvolto partner africani, il più importante dei quali è certamente stato la G20 Africa Partnership Conference, tenutasi il 12 e 13 giugno a Berlino. La Germania si è assunta la responsabilità di guidare l’iniziativa, improntando le discussioni soprattutto sulla base di un nuovo piano di aiuti presentato a gennaio dal Ministero tedesco per la Cooperazione allo sviluppo. La proposta di Berlino sono i “Compacts with Africa” un nuovo approccio per i rapporti bilaterali tra i paesi G20 e quelli del continente africano che prevedono l’affiancamento di investimenti privati agli aiuti allo sviluppo. Da un lato, è bene essere consapevoli che gli schemi proposti (che insistono su crescita sostenibile, sviluppo infrastrutturale e occupazione giovanile) sono semplici modelli che ciascun paese G20 può decidere se seguire o meno. Dall’altro, la discrezionalità lasciata a ciascuna presidenza annuale del vertice circa i temi da inserire in agenda (oltre alla classica cooperazione economica e finanziaria), lascia ovviamente dei dubbi sul proseguimento nella prossima presidenza del G20.

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