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Charlie Gard e gli obbrobri dello Stato etico

Lingotto, 5 stelle, molestie

Su Charlie uno spiraglio sembra aprirsi in queste ore: l’ospedale inglese che lo ha in cura, preso atto delle “richieste relative a possibili altri trattamenti”, riapre il caso che ieri l’altro sembrava definitivamente chiuso nel senso opposto e chiede all’Alta Corte una nuova udienza. Non sappiamo come la faccenda finirà, se la “spina” al piccolo Charlie sarà staccata o meno, ma intanto alcune considerazioni possono farsi.

Prima di tutto, i tanti che si sono sentiti in dovere di improvvisarsi medici e scienziati, che con sprezzo hanno definito superstiziosa e antiscientifica la richiesta dei genitori di provare “cure sperimentali”, sono stati contraddetti proprio dalla Scienza, cioè da una équipe internazionale di medici guidati, ed è un nostro vanto, da quelli del “Bambin Gesù”.

Il fatto è che in molti si attardano ancora oggi a ragionare secondo uno schema Scienza versus Superstizione che nel tempo della ricerca di frontiera e dell’ingegneria genetica non può avere, ammesso e non concesso che ne abbia avuto in passato alcuno, nessun valore. Nessuno ha la verità in tasca e tutto è più incerto e labile, affidato alla sagacia e alla decisione umana. E anche gli scienziati sono uomini. Un po’ più di umiltà non guasterebbe. Ma, a ben vedere, non è nemmeno questo il problema radicale sollevato dal caso Charlie. Esso concerne nientemeno che la decisione su chi ha il potere di decidere sulla vita e sulla morte di un individuo, fosse esso pure incosciente come può essere un malato terminale o appunto, come in questo caso, una piccolissima creatura.

Certo, a decidere non può essere in nessun caso il Potere, lo Stato, la Legge. Lo Stato moderno è nato per preservare la vita e la sicurezza dei singoli, non per metterli a morte. E su questo principio non si può transigere. A nulla vale affermare che, in un caso del genere, la decisione sarebbe stata assunta “per il bene del piccolo”. Anzi, chi dice ciò aggrava la propria posizione. Lo Stato deve garantire formalmente la vita dei singoli, ed è questa la sua alta eticità, ma altra cosa è lo Stato etico, quello cioè che, come in questo caso, dalla forma passa ai contenuti e si arroga il diritto di prescrivere agli altri ciò che ė giusto e ciò che è bene.

Casomai, seguendo il principio di maggioranza o il pensiero comune. La tanatologia dei nazionalsocialisti non può certo essere paragonata alla decisione di una Corte di un paese democratico, ma se la Corte, come in questo caso, si arroga a sé la decisione di mettere a morte, comunque siamo un un ordine di discorso simile. La differenza è di quantità, non di qualità. Non è concepibile che lo Stato si ponga di fronte a dei genitori, cioè all’entità più prossima al piccolo, e in contrasto con loro. La famiglia, con tutti i limiti del caso, è quella che dovrebbe avere maggiore potere decisionale.

Dall’antica Sparta a certo giacobinismo francese, l’idea di cittadinanza contiene in sé un lato pericoloso che non può essere sottovalutato: gli individui non appartengono a una comunità organica, non sono “figli della Patria” se non in senso metaforico: appartengono a loro stessi e a nessun altro. Un’altra obiezione che è stata fatta a chi, da un punto di vista liberale, ha da subito segnalato come pericolosa la tracotanza mostrata in questa occasione dallo Stato concerne la presunta umanità e sensibilità di chi ha steso la prima sentenza. Quasi come se il pensiero unico del “politicamente corretto”, che è la nuova versione dell’eterna tentazione dello Stato etico, non avesse proprio la capacità di mostrarsi sotto le sembianze del bene e non del male, dei cosiddetti “valori positivi” (i quali poi tanto positivi non sono come ci ha insegnato Nietzsche già un secolo e mezzo fa). E quasi come se il problema fosse la qualità della sentenza e non il fatto stesso che, in casi del genere, possa essere un Giudice a decidere del bene e della vita altrui.

Il nostro secolo si è troppo abituato a delegare al Potere ogni tipo di decisione, e il Potere non si è fatto troppo pregare ad assumere su di sé questo compito. Pensare di risolvere questioni del genere al di fuori dell’ambito di prossimità umana e dei concreti rapporti interpersonali, è non solo deresponsabilizzante ma anche in prospettiva molto pericoloso.

Gli sviluppi della medicina ci porranno sempre di più davanti a casi come questi: che tutti facciano un passo indietro e che lo Stato non profferisca troppe parole in merito alle decisioni etiche!

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