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Tutte le sfide (impossibili?) del G20 ad Amburgo

Di Riccardo Pilat
Deutsche Bank, bund

Nel cuore dell’Europa industrializzata due giorni dedicati al G20. Una leggenda metropolitana che riconosce ai potenti del mondo un dialogo e una speranza risolutiva nei confronti dei grandi temi del XXI secolo e che vede nel padrone di casa, Angela Merkel, una chiara, anche se incongruente, figura risolutrice di perplessità ormai consolidate: dai rapporti con gli Stati Uniti e la sua presidenza, alle nuove sfide economiche come il cosiddetto progetto Marshall targato “made in Germany” nei Paesi africani, la crisi migratoria e climatica e le nuove prospettive con l’estremo oriente con Cina e Giappone. Tanti temi che acuiscono lo scontro dialettico alla base di tutte le sfide, tra neoprotezionismo americano ed espansionismo “destabilizzatore” russo, tra fine del processo di globalizzazione euroamericano e rilancio di un nuovo globalismo a traino invece euroasiatico, la sfida etica nei confronti del sud del mondo tra migrazioni e sviluppo condiviso nelle zone più in difficoltà.

A beneficiare delle proposte dell’American First e della Brexit sono i mercati orientali che si candidano a costruire un nuovo modello economico, un nuovo fattore per arginare la politica trumpiana e i suoi derivati. Una mossa quindi che, secondo gli analisti, comporta, insieme al Ceta, di potenziare la competitività europea e le possibilità di sviluppo nella condivisione di un benessere che favorisca i cittadini, tuteli il libero scambio e avvicini nuovi attori al tavolo delle trattative non solo economiche ma anche valoriali in termini di diritti e visioni del mondo per mettere le basi per la costruzione di un nuovo paradigma.

Un’apparente boccata d’aria che insieme al nuovo progetto commerciale cinese, della nuova Via della Seta e il nuovo programma d’investimento della Cina 2025 aprirebbe la porta ad nuovo baricentro economico in cui l’Europa potrebbe giocarsi la carta di arbitrato strategico all’interno del nuovo assetto dei pesi e contrappesi mondiali. Un caso per tutti è l’accordo Huawei e Kuka: l’azienda leader nel mondo nel settore dell’automazione, ha firmato un protocollo d’intesa per confermare e approfondire la loro collaborazione a livello globale in ambito smart factory. Se infatti le battaglie delle superpotenze Usa e Russia si concentrano sulle aree d’influenza dei Paesi “scacco”, l’Europa si concentra sulla possibilità di ritrovare una via d’uscita dalla morsa e dalla stagnazione politica ed economica.

Tra le righe della cordialità c’è il serpeggiare della paura strutturale e il timore crescente di mancanza di risposte adeguate alla nuova crisi sociale, causata anche dalla forte migrazione, che i Paesi europei non intendono approcciare con lo sguardo piantato sui principi che ispirarono la Comunità europea; nuovi egoismi non giocano a favore di una ritrovata armonia che possa permetterci di ridiventare grandi: uno su tutti Macron e la non intellegibile politica contro l’Italia.

Le politiche della Merkel per questo G20 – sviluppo a “casa propria” – trova lodi dal fondatore della Microsoft Bill Gates che rileva la necessità di intervenire in maniera compatta e strategica giocando tra flussi di capitali mirati allo sviluppo e blocco dell’immaginario collettivo sub sahariano.  A parlare infatti sono le cifre secondo il Die Welt: entro il 2050, la popolazione africana è destinata a raddoppiare arrivando a 2,5 miliardi di persone. Secondo i calcoli, quindi, dovrebbero essere creati 22,5 milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno.

Una sfida per i prossimi anni, culturale e valoriale prima che economica, che pone il vecchio continente al primo posto come soggetto pilota nella salvaguardia del proprio status quo, da sempre riconosciuto uno dei più alti, e nell’investimento della sua sopravvivenza come paradigma di competitività e benessere.

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