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Cosa serve per crescere

L’editoriale di “Fabbrica società”, il giornale della Uilm che sarà on line venerdì 14 luglio

 

“Speriamo di arrivare a un eventuale accordo”. Così Carmelo Barbagallo, Segretario generale della Uil, sintetizza il confronto, riguardante il patto per la fabbrica, tra i sindacati confederali e Confindustria, ripreso lo scorso 4 luglio.

BARBAGALLO E IL PATTO DELLA FABBRICA

Sul tavolo i temi della bilateralità, della contrattazione, della rappresentanza, del welfare, delle politiche attive del lavoro. Insomma, si punta a definire una concreta politica industriale per il Paese utile anche a ridefinire un nuovo modello contrattuale. Il leader della Uil non ha dubbi per imboccare la strada della ripresa nazionale: “Serve, innanzitutto, un percorso di sburocratizzazione per favorire investimenti pubblici e privati”.

BOCCIA E LA PRODUTTIVITA’

Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, crede nel percorso intrapreso, dato che, a suo parere, occorre rimettere al centro i valori e la cultura dell’industria al centro della politica del Paese: “Un patto per la fabbrica è necessario per crescere, aumentare i salari e la produttività”.

L’OTTIMISMO DI GENTILONI

Al momento tutti gli indicatori statistici manifestano una tendenza di fondo positiva, ma la crescita langue proprio nel settore manifatturiero, nel campo degli investimenti, nella prospettiva occupazionale. Eppure da Palazzo Chigi questi dati vengono visti positivamente. “Io sono moderatamente ottimista” – ha affermato il premier Paolo Gentilonisul fatto che questa crescita graduale proseguirà”.

CALENDA E LA CRESCITA

Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, sul quotidiano Il Foglio ha illustrato compiutamente quali sono le sue idee per far crescere l’Italia: “Il nostro obiettivo Paese deve essere dunque quello di rimanere saldamente dentro la cabina di regia europea portando l’Italia a catturare definitivamente la domanda internazionale di beni, servizi, turismo e cultura. Aumentare il rapporto tra esportazioni e Pil di 20 punti percentuali, come fatto dalla Germania, grazie soprattutto alle riforme dell’era Schroder, implica concentrare ogni euro disponibile su imprese, lavoro e competitività del Paese. Importare i tassi di crescita del mondo in un’economia matura con una demografia piatta è una missione congeniale all’Italia, come dimostrano gli ultimi dati sull’export. Dobbiamo sostenere e accelerare questa transizione verso un ‘modello tedesco’. Il ‘come’ è piuttosto intuitivo e va nella direzione di alcune cose fatte negli ultimi quattro anni: sostegno fiscale agli investimenti privati, all’innovazione e all’internalizzazione, ampliando il piano Industria 4.0 e quello sul ‘Made in Italy’, un taglio deciso del cuneo fiscale e contributivo a partire dai giovani, un investimento serio sulla formazione professionale e sulle altre politiche attive, il definitivo superamento di un modello contrattuale vecchio che raramente tiene conto di produttività, welfare aziendale e formazione. Un esempio da estendere può essere quello del contratto dei metalmeccanici”.

PRODI E LE POLITICHE ATTIVE DA FARE

L’ex premier Romano Prodi sul Messaggero di domenica scorsa ha indicato quali politiche attive adottare quando il congelamento dei salari e l’aumento della disoccupazione provocano una sostanziale diminuzione dei consumi ed un freno alla crescita. “Lo strumento che più contribuisce ad una maggiore uguaglianza è certamente la scuola. Subito dopo vengono la salute, la casa e la politica salariale”.

FERRERA E IL LAVORO PER I GIOVANI

Per ultimo è importante segnalare una interessante proposta avanzata sul Corriere della Sera da Maurizio Ferrera: “Un cinque per mille (o anche un due, per cominciare) a favore del lavoro dei giovani da usare per la decontribuzione”. Investimenti, quindi, a favore della politica industriale ma anche solidarietà fra generazioni. Così il Paese può crescere.

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