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Che cosa sta studiando l’America in Libia

Fayez Serraj, Libia, trenta

Secondo due fonti interne all’amministrazione americana che hanno parlato con la CNN, nelle prossime settimane è in arrivo da Washington una nuova strategia sulla Libia. In discussione ci sarebbe una policy diversa dalla lettura disinteressata che finora il presidente Donald Trump ha dato della crisi – considerata non come una questione di interesse strategico per gli americani, ma solo un campo di caccia per colpire i residuati dello Stato islamico rimasti nel paese dopo la caduta di Sirte, la roccaforte. Gli americani avrebbero intenzione di riaprire il consolato di Bengasi, la cui liberazione dai gruppi islamisti, jihadisti (e qualche spuria baghdadista) è stata recentemente dalle forze di Haftar, e far rientrare in Libia l’ambasciatore, che adesso è lontano dal paese a causa delle scarse condizioni di sicurezza. Non solo: Washington ha in programma di inviare consiglieri e istruttori militari per aiutare le nascenti forze di sicurezza libiche.

TRA SERRAJ E HAFTAR

Ora sarebbe in fase di approvazione (e dunque per niente definitivo) un piano per cercare un approccio più interessato anche verso la guerra che divide il Paese, nel tentativo di riconciliare le milizie combattenti sotto l’ombrello del governo di Tripoli. Vale la pena ricordare che l’Onu, dal dicembre 2015, ha stretto un accordo per la pacificazione nazionale, sostenendo un premier, Fayez Serraj, che nonostante un insediamento forzato la scorsa primavera non ha mai avuto conferma definitiva del suo ruolo, e trova ostacoli sia nella porzione occidentale del paese (dove ci sono fazioni islamiste che non lo sostengono) sia in quella orientale, dove il generale Khalifa Haftar ha messo in piedi un ambizioso programma politico mascherato da campagna anti terrorismo. Sulla complicata situazione pesa la presenza degli interessi di attori esterni, come l’Egitto, gli Emirati Arabi o la Russia, che hanno fornito sostegno ad Haftar, e l’Europa che si è schierata senza troppa convinzione con Serraj. Lunedì 10 luglio, il capo del Pentagono James Mattis ha ospitato a Washington, in due incontri separati, sia il primo ministro tunisino, e martedì vedrà la ministro della Difesa italiana Roberta Pinotti.

LA CENTRALITA’ DELLA LIBIA

Sulla crisi libica l’Italia ha da subito cercato di costruire una posizione aperta, sostenendo il processo onusiano, ma cercando il dialogo con l’Est. E gli italiani sono i primi interessati al nuovo approccio americano, dato che risolvere la crisi libica aprirebbe tra l’altro alla possibilità concreta di intervenire sul processo migratorio. La Libia è il punto di lancio dei traffici di esseri umani che solcano il Mediterraneo, e, nonostante gli accordi cercati da Roma, intervenire direttamente sul territorio nordafricano è impossibile finché non ci saranno autorità politiche e militari effettive e in grado di amministrare il paese (tutto). La nuova strategia americana avrà comunque come obiettivo formale la lotta al terrorismo, dato che la sconfitta nominale di Sirte non ha cancellato lo Stato islamico dal quadrante, ma lo ha disperso nelle zone meridionali – l’ingovernabile Fezzan, una terra di nessuno in mano alle tribù locali – mettendolo a contatto con le dinamiche degli altri gruppi jihadisti che solcano il Sahel mentre confondono i propri interessi con le attività criminali (contrabbando e traffici di ogni genere, compreso persone).

I PROGETTI USA

Però c’è anche un lato politico, perché gli americani – come accennato – avrebbero intenzione di riaprire il consolato di Bengasi, la cui liberazione dai gruppi islamisti, jihadisti (e qualche spuria baghdadista) è stata recentemente dalle forze di Haftar, e far rientrare in Libia l’ambasciatore, che adesso è lontano dal paese a causa delle scarse condizioni di sicurezza. Nota: la riapertura del consolato di Bengasi ha un valore piuttosto simbolico, perché è stato chiuso nel 2012 quando un attacco organizzato da una milizia qaedista uccise quattro americani, compreso il console Chris Stephens (una ferita ancora aperta negli Stati Uniti quando si parla di Libia). Inoltre, il reinsedio a Bengasi significherebbe intavolare un qualche genere di collaborazione formale anche con Haftar, che controlla la zona. Washington ha inoltre in programma di inviare consiglieri e istruttori militari per aiutare le nascenti forze di sicurezza libiche, e potrebbe ufficializzare il ruolo di una cinquantina di unità speciali mandate in giro per il paese a raccogliere informazioni di intelligence sui gruppi terroristici (“ufficializzare” perché team del genere si trovano già sul suolo libico e svolgono da anni un compito analogo). Se le cose dovessero andar bene, possibile anche l’apertura di un centro di condivisione di intelligence tra americani e libici.

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