Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Cosa combina Luigi Di Maio con le fake news?

Oggi più che mai la rissa quotidiana colpisce la vita civile e democratica, ma non solo: si ripercuote negativamente anche sulla crescita economica. Come ha scritto Antonello Capurso in un pamphlet di cui consiglio vivamente la lettura, è “inevitabile infatti che l’Italia appaia, anche per la natura selvaggia del dibattito pubblico, un terreno in cui è rischioso impegnare risorse ed è quasi impossibile progettare” (Storia dell’insolenza, il Settimo Libro, 2014). Non è soltanto questione di cattivo funzionamento della burocrazia e della giustizia: se la correttezza latita e le certezze dei comportamenti risultano gravemente compromesse, chi ha intenzione di progettare e di investire si allontana. La prospettiva di un conflitto permanente nell’arena politica è una delle ragioni principali che disincentivano gli investitori privati, in particolare quelli stranieri, a mettere i propri denari in avventure italiane. In fondo, l’opinione pubblica si è ormai assuefatta all’idea che la reputazione di chi rappresenta gli elettori non sia un bene cui dare troppo peso, e che la gara per il potere non richieda attenzione alcuna all’etica.

La qualità dell’attività politica, incluso il contenuto delle leggi che essa produce, finisce così per diventare secondaria di fronte alla sua utilità polemica. In un clima di scontro compulsivo, la credibilità delle decisioni crolla e ogni provvedimento diventa un pretesto per combattere nuove guerre di religione. La strategia dell’insulto, di cui i social network sono un formidabile veicolo, invade la scena: evapora la progettualità dei partiti, ridotti a pure macchine del consenso; l’efficacia del legislatore si spegne; esplode la voracità dei gruppi corporativi, pronti a scagliarsi contro ogni avversario che minacci le rendite di posizione di cui godono nel mercato politico.

Mala tempora currunt: il nostro Paese è il teatro di uno spettacolo quotidiano vergognoso, in cui il problema principale sembra quello di insultare, e di insultare senza incorrere in qualche reato, di offendere e suscitare indegne gazzarre magari in nome della difesa della Costituzione, La battaglia delle idee viene così soppiantata dalla guerriglia dei fanatismi, condotta con le armi dell’invettiva, della denigrazione, del turpiloquio, della menzogna, delle fake news. Del resto, non siamo nell’era della post-verità?

In realtà, come ricorda Capurso nel volume citato, la storia politica italiana ha una regola costante fin dai tempi di Giacomo Leopardi: “Gli uomini si vergognano, non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono. Però ad ottenere che gli ingiuratori si vergognino, non v’è altra via, che di rendere loro il cambio” (Pensieri). Non è un caso che proprio nel 1861 nasca la prima insolenza su grande scala della giovane nazione, un motto che resterà proverbiale fino ai nostri giorni: “Piove governo ladro!”. Esso risale a una vignetta umoristica, quando le opposizioni mazziniane e radicali – minoritarie in Parlamento – organizzano una manifestazione di piazza antigovernativa. Ma nel giorno fissato la pioggia è battente, e la protesta salta. La rivista satirica Il Pasquino pubblica allora un disegno, firmato dal principe dei caricaturisti piemontesi Casimiro Teja, con tre mazziniani al riparo dall’acquazzone e, sotto, la didascalia: “Governo ladro, piove!”.

I costumi, scriveva Alexis de Tocqueville, sono una delle “grandi cause generali” della tenuta della democrazia. È evidente che i costumi del ceto politico non potranno mai somigliare alle cerimonie di un collegio di educande, ma quando essi sono all’insegna di una litigiosità paralizzante, sono senza freni e senza responsabilità, una società rischia il disfacimento.

****

Ha scritto Gino Ruozzi (Ennio Flaiano. Una verità personale, Carocci, 2012), che l’aforisma è arrivato fino a noi attraverso passaggi culturali e linguistici culminati in alcune età dell’oro: la Grecia di Ippocrate, la Spagna di Gracián, la Francia di La Rocheaufoucauld e Pascal, la Germania di Goethe, l’Inghilterra di Wilde, l’Austria di Kraus, la Polonia di Lec, l’Italia di Guicciardini e Leopardi (e poi di Longanesi e dello stesso Flaiano). Oggi dobbiamo accontentarci del tuìt, ruvido artigianato della chiacchiera. Sublimi quelli postati sull’emergenza incendi da Luigi Di Maio, in cui si vantava di essere stato tutta una sera al telefono con le ambasciate degli altri Stati europei per chiedere (e ottenere) l’invio dei loro Canadair. Puntuale è arrivata la smentita dell’ambasciata francese (la Francia è l’unica a possedere Canadair), la quale ha precisato di non essere mai stata in contatto col deputato grillino e di aver inviato due suoi velivoli solo dopo che ne aveva fatto richiesta la Protezione civile (come vogliono le procedure europee). #Gigginostiasereno: come candidato premier contaballe non hai concorrenti. Alessandro Di Battista e Carlo Sibilia si devono rassegnare.

×

Iscriviti alla newsletter