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Ecco il piano dei big Usa per aggirare il no di Donald Trump all’accordo di Parigi sul clima

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La lotta al cambiamento climatico si può fare anche fuori dagli accordi di Parigi. Ne sono convinti i colossi americani dell’automobile e dell’energia che, insieme a un pool di aziende di altri settori, scienziati e politici, hanno presentato le loro proposte per ridurre le emissioni di CO2 sotto il cappello del Climate Leadership Council, organizzazione nata da un’idea di Ted Halstead, già fondatore di vari think tank negli Stati Uniti.

General Motors, ExxonMobil, Total, BP, Shell, Santander, l’astrofisico Stephen Hawking, il magnate degli hedge fund Ray Dalio, l’ex consulente economico di Obama Larry Summers, l’ex segretario dell’Energia di Obama Steven Chu, Laurene Powell Jobs (vedova di Steve Jobs), l’industriale indiano Ratan Tata e Michael Bloomberg sono solo alcuni dei soci fondatori del gruppo che ha messo la firma sul piano per salvare il pianeta rispettando i principi dei conservatori.

I CARDINI: CARBON TAX E BORDER TAX

L’idea è di sostituire un numero eccessivo di norme pro-ambiente con una misura definita molto semplice e capace di innescare un circolo virtuoso: tassare le aziende che inquinano e reinvestire il denaro a favore della comunità. Quattro i pilastri del piano: una carbon tax sull’uso dei combustibili fossili; dividendi mensili ai contribuenti (i soldi ottenuti dalla tassa su chi inquina vengono restituiti ai cittadini che così beneficiano direttamente della lotta all’inquinamento e vengono anche ricompensati del possibile incremento dei prezzi dell’energia causato della carbon tax); un dazio (border tax) sulle merci provenienti da Paesi che non applicano la carbon tax (per dare un vantaggio competitivo alle aziende a stelle e strisce ma anche per stimolare gli altri Paesi ad adottare questa misura); riduzione, senza conseguenze per l’ambiente, della pletora di norme nazionali e internazionali sul clima. Secondo il Climate Leadership Council, una tassa di 40 dollari per ogni tonnellata di CO2 è in grado di soddisfare gli obiettivi sul clima ratificati da Barack Obama a Parigi in tempi dimezzati rispetto alle strategie dello stesso ex presidente.

Il Ceo di Exxon Darren Woods aveva scritto a febbraio che “una carbon tax revenue neutral” potrebbe essere un approccio “ragionevole” alla riduzione delle emissioni di CO2, capace di promuovere l’efficienza e incentivare fonti di energia più pulite senza “gravare ulteriormente sull’economia” e ora ha ribadito di trovarsi in sintonia con le proposte del Climate Leadership Council. Gli ha fatto eco una nota di GM: “Non abbiamo mai negato il cambiamento climatico, ma la soluzione richiede il coinvolgimento di tutti i settori dell’economia”.

UN PIANO ANCHE PER L’EUROPA

“Ci delude la decisione del presidente Trump di ritirarsi dagli accordi di Parigi ma non facciamone un’ossessione”, scrive sul Financial Times Ted Halstead, presidente e Ceo del Climate Leadership Council. Secondo Halstead, il vero problema è che nessun Paese ha la ricetta “coerente e politicamente percorribile” per contrastare il cambiamento climatico, né gli Usa né l’Europa. Infatti, il sistema di trading delle emissioni “non ha raggiunto gli obiettivi” e le misure per il clima sono “troppo complicate e finanziariamente insostenibili, troppo dipendenti dai sussidi alle fonti rinnovabili e troppo permissive nei confronti delle industrie energivore. Abbiamo bisogno di un nuovo approccio su entrambe le sponde dell’Atlantico e l’ampia coalizione di aziende, opinion leader e associazioni ambientaliste che abbiamo messo insieme fa proprio questo”.

“E’ un progetto con cui siamo certi di ottenere consensi bipartisan e che si basa sui principi conservatori del libero mercato e di un limitato intervento statale”, continua Halstead. “I co-autori sono due grandi leader Repubblicani: James Baker e George Shultz. Siccome si garantisce un dividendo agli americani, la nostra è anche una soluzione popolare e populista, pro-imprese e pro-lavoratori”. E’ anche vantaggiosa per l’ambiente, conclude l’imprenditore americano, perché questo sistema permetterebbe agli Usa di raggiungere ugualmente i target di Parigi: “Dare un prezzo alla CO2 è più efficace e meno costoso che imporre regole”.

PUZZLE COMPLESSO

“Pubblicare un piano è una cosa, metterlo in pratica è un’altra”, commenta l’agenzia di stampa Bloomberg citando il senior vice president dell’Environmental Defense Fund, Eric Pooley: “Senza ampio supporto bipartisan in Congresso e senza l’ok di aziende e Ong non si va da nessuna parte”. Ma è proprio qui che Halstead pensa di essere forte: unendo gruppi che spaziano da BP a Banco Santander fino agli ambientalisti di Nature Conservancy e Conservation International, il leader del Climate Leadership Council ritiene di avere appoggi bipartisan e di poter fare leva sul peso di una decina di aziende che complessivamente valgono una capitalizzazione di mercato di 1.900 miliardi di dollari e fatturato annuale di 1.400 miliardi. Sono gruppi attivi in tutti i 50 Stati Usa ma la maggior parte è straniera: Halstead è convinto che la sua iniziativa possa costituire un modello su scala globale.

Ma come Bloomberg, che ricorda che gli ideatori del piano, gli ex segretari di Stato Repubblicani Schultz e Baker, non hanno molto seguito nemmeno nel loro partito, anche Forbes stronca l’iniziativa affermando che la carbon tax non avrà altro esito che far salire i prezzi dell’energia per i consumatori. Male anche la tassa sulle importazioni, secondo la testata americana: “Facciamo un esempio: l’importazione di petrolio dall’Arabia Saudita. Qui non c’è carbon tax dunque Saudi Aramco dovrebbe pagare un dazio al governo Usa. La conseguenza ovvia è che l’Arabia Saudita introdurrebbe la carbon tax per evitare i dazi Usa alla Aramco; la Aramco invece pagherebbe una tassa al suo governo. Dunque niente soldi per lo Stato americano ma il prezzo dell’energia aumenterebbe ugualmente negli Stati Uniti”.

L’argomento però è tutt’altro che esaurito: la carbon tax ha favorevoli e contrari come tutte le politiche e forse la vera discriminante per l’iniziativa di Halstead sarà proprio la sua capacità di farsi sentire a Washington dai poteri forti, mentre su scala globale tenere conto di problematiche economiche e geopolitiche non risolte e cercare un dialogo ampio per comporre un puzzle quanto mai complicato può essere la via da percorrere per fare anche meglio di Cop21.

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