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Mps, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Chi ha ucciso il fondo Atlante di Penati?

Penati

Chi ha ucciso il fondo Atlante 1, nato nell’aprile 2016 per salvare le sorti delle banche italiane alleggerendole dalle sofferenze e ora a rischio liquidazione? La domanda è di grande attualità, visto che nel giro di appena un anno tutto sembra essere completamente cambiato, a sfavore del fondo guidato da Alessandro Penati e a sfavore di coloro che vi hanno investito, quindi in primis di Intesa Sanpaolo e Unicredit, ma anche Banco Bpm, Cdp e la fondazione Cariplo capitanata da Giuseppe Guzzetti, che nel 2016 fu probabilmente il più grande sponsor di Atlante.

COSA È SUCCESSO?

La situazione è precipitata con la nuova delle crisi della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, per risolvere la quale è stata individuata una complessa (e anche un po’ pasticciata) soluzione, che prevede il passaggio a Intesa Sanpaolo degli istituti al prezzo di un euro con uno sforzo pubblico che potrebbe arrivare sino a 17 miliardi. Tale soluzione prevede l’azzeramento di azionisti e obbligazionisti subordinati (in alcuni casi questi ultimi potranno essere rimborsati). E il principale socio delle due venete, con quasi il 100% del capitale, è proprio Atlante, che in questo modo subirà l’azzeramento dell’investimento da quasi 3,5 miliardi complessivi nelle due banche, dove era entrato con i due aumenti di capitale dell’anno scorso. Il problema è che si era detto, con tanto di prospetti informativi approvati da Consob e Bce, che quei due aumenti di capitale sarebbero stati risolutivi per Popolare di Vicenza e Veneto Banca.

CHI HA PERSO?

Così non è stato, visto che già dallo scorso autunno si sono cominciati a diffondere rumor di una necessità di nuove risorse per i due istituti del nordest. Da lì è stato un crescendo, fino a che non è scattata la liquidazione coatta con consegna della “parte buona” a Intesa. Chi ha perso, quindi? Senz’altro il fondo Atlante. La cui sgr Quaestio, in una nota del 20 luglio, ha fatto sapere che “sta valutando l’ipotesi di liquidazione del fondo Atlante che verrà analizzata e discussa con i rappresentanti degli investitori”. E questo proprio perché “il valore unitario della quota del fondo Atlante è stato determinato in euro 78.100,986, riflettendo l’azzeramento del valore delle banche venete partecipate e corrispondente ad una diminuzione di circa l’80% rispetto al valore nominale”. Un bagno di sangue, quindi, che fa crollare i sogni di gloria di Penati, che nutriva grandi aspettative non più tardi di un anno fa, all’inizio dell’avventura nelle venete. Ma che azzera anche l’investimento dei soci di Atlante, a cominciare, come visto, da Intesa e Unicredit, che avevano contribuito al fondo quasi con 1 miliardo di euro a testa.

LE BANCHE AZIONISTE

Le banche, però, già da mesi avevano perfettamente compreso che il vento era cambiato, a sfavore di Atlante e delle venete. Avevano così cominciato a svalutare pesantemente le proprie partecipazioni, con grande disappunto di Penati: ne era nato un clima di tensione reciproca che Formiche.net ha costantemente raccontato e che di certo non ha giovato. E ora, con le prossime trimestrali, nuove svalutazioni arriveranno. Dovranno tenerne conto anche gli altri azionisti di Atlante non quotati in Borsa, a cominciare dalla Cdp e dalle fondazioni, con profondo rammarico del loro esponente Guzzetti, che pure fino all’ultimo aveva tentato di difendere l’operato di Penati.

CHI HA VINTO?

Si potrebbe quindi essere portati a pensare che con la liquidazione coatta e l’acquisizione di Intesa al prezzo di un euro sia Intesa a guadagnare dall’operazione sulle venete. Può essere, visto che le garanzie statali, soprattutto sui crediti deteriorati, sono enormi, ragion per cui il rischio che corre l’istituto di credito guidato da Carlo Messina è pressoché inesistente. Considerando però che nell’avventura Atlante ha investito anche Intesa, e ha investito la bellezza di quasi 1 miliardo, riesce difficile classificare la banca come vincitrice. Perché la verità è che in Atlante, che avrebbe dovuto salvare le banche comprando le loro sofferenze a prezzi superiori a quelli di mercato, hanno probabilmente perso tutti.

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