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Cosa fare per l’industria italiana

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Il Piano nazionale industria penalizza il sud che rimane la cenerentola italiana.

Due giovani ricercatori dello Svimez, agenzia per il Mezzogiorno, scoprono le carte: il Piano industria 4.0 darà ossigeno allo 0,2% del Pil al centro nord poiché le trasformazioni permanenti auspicabili agganceranno la ripresa, ottimizzeranno la produttività attraverso gli incentivi previsti dal governo anche grazie ai circa 8,6 miliardi stanziati per il periodo 2018/2021 per le agevolazioni, ma sempre in quel tempo il sud, che comunque potrà contare su 650 milioni non sarà in grado di cogliere la ripresa e rimarrà ancorato ad un modesto 0,03 di produttività.

La sentenza è dura ma le cause sono molteplici. Prima di tutto il nostro Mezzogiorno ha osato poco in innovazione di tecnologie, pochissimo in servizi con il mercato internazionale e le imprese sono molto piccole e soprattutto come nei precedenti interventi pubblici è evidente che si favoriscono le imprese dell’area del nord.

Il problema rimane la capacità politica di investire in ricerca e sviluppo industriale, la capacità di usare i fondi messi a disposizione anche dal Fse attraverso il progetti: il ministro del lavoro Giovannini, già presidente dell’Istat, aveva promesso di metter in campo un numero di professionisti in grado di predisporre progetti con le modalità dettate dalla Ue e ancora oggi il Mezzogiorno non coglie questa opportunità lasciando inutilizzati  i fondi a disposizione mentre il centro nord si è attrezzato e se anche in parte ripropone gli stessi progetti, ha la destrezza di utilizzare le risorse in innovazione e hitech.

L’occupazione poi è il grande problema del sud che ha l’oro in bocca ma non lo sa valorizzare per il miglioramento dell’economia reale. Il turismo è la valvola che ora è in grado di offrire secondo i diversi operatori, una occupazione straordinaria e dobbiamo innovare l’offerta turistica che come le imprese è desueta. Dunque il primo passo da compiere è investire in strutture e contemporaneamente sulla formazione di giovani nel campo della cultura e dei servizi alberghieri che siano in grado di rispondere all’offerta occupazionale introducendo incentivi per i nostri ragazzi.

E il super ri-finanziamento Ue Garanzia giovani deve poter contare su servizi di inserimento al lavoro migliori di quelli che hanno visto  nel precedente finanziamento un risultato molto scarso: troppa burocrazia, pochi i risultati in termini di aumento dell’occupazione di giovani e soprattutto sbagliata la scelta di non sostenere con sgravi fiscali le aziende che dopo il tirocinio formativo, consolidavano il rapporto di lavoro. Uno scambio vero e proprio tra salari e produttività può consentire di dare al lavoro in termini di risorse economiche concrete il suo valore e sostenere gli entusiasmi  previsti ma non affatto certi per una crescita migliore.

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