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Ecco cosa farà davvero l’Italia in Libia

La scomparsa dell’aggettivo (da “supporto tecnico” a “supporto”) è un dettaglio, anche se cancella quel velo di prudenza steso da Paolo Gentiloni quando annunciò la missione navale in Libia dopo l’incontro a Roma con il premier Fayez al Serraj. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a una missione di “supporto alla guardia costiera libica” che il presidente ha così spiegato in una veloce dichiarazione alla stampa: l’operazione “può dare un contributo significativo a rafforzare la sovranità libica, non è un’iniziativa contro la sovranità libica. Sarebbe non rispecchiare la sostanza della decisione del governo presentarla come un enorme invio di grandi flotte e squadriglie aeree. È una richiesta, alla quale abbiamo aderito, di supporto alla guardia costiera” ed “è né più né meno di quanto richiesto dal governo libico”. Martedì 1° agosto ci sarà la presentazione dei dettagli alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato e successivamente dovrebbe arrivare l’approvazione del Parlamento per la quale Gentiloni si augura “un largo consenso”.

L’irritazione libica

La precisazione era inevitabile dopo la nota diramata nella serata del 27 luglio da Serraj che aveva negato di aver concesso il permesso alle navi italiane: “La sovranità libica è una linea rossa che non potrebbe essere attraversata”, aveva detto probabilmente come conseguenza degli articoli scritti da qualche quotidiano italiano, pieni di dettagli su navi, aerei ed equipaggi come se fosse “un’invasione” ovvia e decisa quando invece è tutto da decidere e i numeri finali saranno ben diversi. Ecco perché Gentiloni ha anche sottolineato che non si trattava di “grandi flotte”, rassicurando indirettamente Serraj. Inoltre, quella nota di Serraj poteva anche essere una replica indiretta a un’intervista di Khalifa Haftar a France24 nella quale il generale gli aveva contestato di non controllare neanche Tripoli e di dire fanfaronate. Con buona pace della stretta di mano davanti a Emmanuel Macron.

Navi italiane a Tripoli

Come d’incanto, dopo le dichiarazioni di Gentiloni il ministero degli Esteri del governo di Serraj ha diramato una nota “di chiarimento” nella quale si afferma che “il Consiglio Presidenziale del Governo di Accordo Nazionale ha richiesto al Governo Italiano un sostegno tecnico, logistico e operativo per aiutare la Libia nella lotta al traffico di esseri umani e salvare la vita dei migranti”. Nella nota si aggiunge che “questi potranno prevedere anche la presenza di navi italiane che potranno operare dal porto di Tripoli, solo per questa ragione e in caso di necessità. Non si accetterebbe nessuna interferenza di questo genere senza un’autorizzazione preventiva e con un coordinamento con le autorità libiche all’interno del territorio e delle acque territoriali libiche”.

Ma solo una o due navi

I dettagli operativi sono allo studio. E’ certo che i mezzi saranno attinti dalla missione Mare sicuro, un’operazione di sicurezza equivalente a quanto si fa nelle città con “Strade sicure”, che per il 2017 prevede un contributo massimo (dunque, non quotidiano) di 700 militari, 4 mezzi navali e 5 mezzi aerei, ma, mettendo da parte scenari da film, realisticamente l’Italia utilizzerà una o due navi oggi impegnate in Mare sicuro. Fino al momento di presentare il piano alle commissioni martedì 1° agosto si lavorerà di cesello sulle regole d’ingaggio, cioè in che cosa consisterà materialmente il supporto ai libici. I dettagli saranno decisivi per la decisione politica: il largo consenso auspicato da Gentiloni ci sarà se il ruolo italiano sarà davvero operativo, altrimenti il centrodestra voterà contro. Infatti, dopo la nota del ministero degli Esteri libico già dalla Lega si parla di presa in giro se ci si limiterà al “supporto tecnico e logistico”. La nota parla anche di “sostegno operativo”: quella sarà la cartina di tornasole.

Gentiloni ha precisato di non aver mai negato “che il percorso di stabilizzazione della Libia è una nostra priorità, ma che è un percorso accidentato, non è un’autostrada in discesa. Senza enfasi, sottolineo tuttavia che questa missione di supporto può essere un passaggio rilevante” con riflessi sull’immigrazione. Il presidente del Consiglio ha poi confermato che l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni avranno un ruolo decisivo per consentire “un’accoglienza dignitosa” ai profughi in Libia e anche per favorire i rimpatri volontari assistiti nei Paesi di provenienza.

Il mandato di Eunavfor Med

Vista la confusione creata anche da alcune dichiarazioni, è opportuno ricordare il mandato della missione Eunavfor Med-Operazione Sophia che impropriamente, almeno in questa fase, viene accostata alla richiesta libica di aiuto. Non è vero che sia sufficiente un eventuale permesso dello Stato libico di entrare nelle proprie acque territoriali per dare il via alla fase 2-b della missione (e procedere così a fermi e sequestri non più solo in alto mare) perché contestualmente è necessaria una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, come fu deciso dal Consiglio dell’Ue il 18 maggio 2015. Quest’ultima è anzi dirimente perché costituirebbe un “ombrello giuridico” considerato indispensabile per ottenere il via libera dei 25 Stati che partecipano alla missione.

Lunedì la firma sul codice per le Ong

È stata fissata per lunedì 31 maggio alle 16 la firma tra il ministero dell’Interno e le Ong sul codice che dovranno rispettare. Nella riunione presieduta dal capo di gabinetto del Viminale, prefetto Mario Morcone, sono stati recepiti alcuni contributi delle Ong, anche se restano contrarietà sia sul divieto di trasbordo dei migranti su altre navi sia sulla presenza della polizia giudiziaria a bordo. C’è chi minaccia di non firmare l’accordo, ma ciò comporterà delle conseguenze.

Le trattative internazionali

La diplomazia, nel frattempo, si muove a vari livelli. Alla fine di agosto dovrebbe tenersi un vertice proposto da Macron tra Francia, Italia, Germania e Spagna nel quale discutere anche di immigrazione e in particolare di Ciad e Niger, Paesi interessati al transito di migranti. Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha invece incontrato a Roma il ministro per l’Amministrazione Territoriale della Repubblica del Mali, Tiéman Hubert Coulibaly, ribadendo la necessità di una collaborazione sul fronte del terrorismo, della sicurezza delle frontiere, della creazione di centri dell’Unhcr e dell’Oim. Infine, a dimostrazione di come l’Italia dovrà necessariamente attivarsi anche con Il Cairo dove non abbiamo l’ambasciatore in seguito al caso Regeni, il 22 luglio l’Egitto ha inaugurato una nuova base militare sul Mediterraneo vicino al confine libico, descritta come la più grande esistente in Africa e nel Medio Oriente. Ovviamente, all’inaugurazione ha partecipato il generale Haftar.

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