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Libia, è possibile un blocco navale italiano (logico e antidemagogico)?

L’ondata migratoria che interessa l’Italia è “confusa”, in quanto si mischiano soggetti che fuggono da situazioni di guerra e cercano asilo (una porzione minima stimata intorno al 7% della massa complessiva) a migranti economici (la stragrande parte), normalmente giovani, adulti e maschi. L’Italia, con i suoi 8000 km di costa e quale paese più a sud del vecchio continente nel cuore del Mediterraneo è la frontiera più esposta tra Africa ed Europa ad ondate provenienti da Nigeria (21%), Eritrea (12%), Guinea, Gambia e Costa d’Avorio (7%), Senegal (6%), Sudan e Mali (5%).

E’possibile (anche come atto unilaterale italiano) un blocco navale in Libia che sia potabile, antidemagogico e basato su analisi oggettive? Si può immaginare di uscire dall’angolo in cui l’Italia è stata cacciata (per un colpo di reni dell’Eliseo, ma anche per insipienza interna) attraverso una regia concordata tra forze armate, governo e media che replichi lo schema attuato vent’anni fa in occasione della crisi con l’Albania?

Una possibile linea guida giunge da un report firmato dal vice segretario del Movimento Nazionale, Roberto Menia, e presentato alla Camera dei Deputati dal segretario nazionale Gianni Alemanno e dal responsabile immigrazione Paolo Diop, in cui attraverso analisi, incroci di dati e valutazioni effettuate da personale altamente specializzato nel caso libico (come ammiragli e ufficiali delle capitanerie e della marina militare) si ricostruisce il mosaico di un possibile blocco navale in Libia, previsto dal diritto internazionale bellico ma senza una funzione offensiva nei confronti di Tripoli, bensì difensiva nei confronti italiani.

La tesi è che un provvedimento del genere se fino a qualche mese fa poteva apparire come una proposta populista o dettata dalla “pancia”, oggi ha un suo perché riconducibile in cinque macro ragioni. In primis eliminare il cosiddetto effetto magnete dato dalla presenza delle navi Ong a pochissime miglia dalle coste libiche e non in mare aperto, a cui si chiede di impedire l’attracco nei porti italiani.

In secondo luogo avviare un’operazione psicologica e mediatica per disincentivare le partenze, illustrando in loco l’impossibilità di raggiungere i paesi Ue per via della chiusura delle frontiere. Un passaggio che, come logica conseguenza, avrebbe l’utilizzo delle navi italiane ed europee per intercettare i trafficanti di migranti e bloccare materialmente le partenze delle coste libiche, con ovviamente in caso di affondamento il salvataggio dei migranti ma riconducendoli nei porti di partenza e non in Sicilia e Calabria come accade ora.

Inoltre nel report si legge la proposta di creare punti di attracco ad hoc in Libia nella zona della Tripolitania, così da avere un corridoio specifico sul territorio e, quindi, procedere alla costruzione di hotspot in Libia al fine di discernere i flussi tra migranti economici e quelli in fuga dalla guerra.

Il tutto incorniciato dalla possibilità di assicurare il controllo di quei tratti di costa (parliamo di sole 50 miglia) utilizzati al momento dai trafficanti, e in parallelo supportare sul posto i migranti in arrivo a sud con l’organizzazione di campi profughi contando sulla collaborazione delle Ong italiane.

Secondo le proiezioni (al ribasso) del primo quadrimestre dell’anno, nel 2017 sarebbero dovuti arrivare 250mila migranti dalla Libia ma il continuo aumento degli sbarchi andrà sicuramente ad elevare tale numero. Le leggi del mare prevedono misure severissime ed azioni di fatto senza limitazioni nei confronti di imbarcazioni su cui possa esservi il sospetto di pirateria o tratta degli schiavi, fattispecie questa chiaramente rilevabile nel traffico di esseri umani che proprio da lì si opera. Su questi presupposti ogni nave che esca dalle acque libiche può essere preventivamente abbordata e verificata.

I carichi di clandestini possono essere immediatamente riportati ai porti di partenza con i mezzi da sbarco militari di cui la nostra Marina e i mercanti di uomini possono essere arrestati, replicando quanto fatto vent’anni fa, ai tempi della crisi d’Albania con l’intervento militare multilaterale a terra sotto guida italiana (Tirana, Durazzo, Valona), che svolse al tempo stesso operazioni umanitarie e di polizia bloccando il traffico di droga e di clandestini verso la Puglia e le regioni adriatiche.

twitter@FDepalo

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