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Leonardo-Finmeccanica (e non solo), ecco cosa si rischia con il forcing di Francia e Germania sulla Difesa

Di Michele Arnese ed Emanuele Rossi
bourget

L’invito per una riunione conciliatoria a Parigi rivolto ai due leader che guidano la separazione libica da parte del presidente francese Emmanuel Macron, è uno dei movimenti assertivi che sta caratterizzando il nuovo corso dell’Eliseo. Tra questi, non sfuggiranno i passi in avanti progettati dalla Francia nel settore difesa – declinazione: comune europea – con la richiesta di sponda tedesca.

IL DETERRENTE FRANCESE

L’intenzione di Macron è far valere su Bruxelles una superiorità militare diventata un’unicità: la deterrenza nucleare. La Francia ha dieci sottomarini nucleari (sei come mezzi di dissuasione e quattro da combattimento) che rappresentano l’indipendenza atomica – o la dipendenza europea da Parigi, dopo la Brexit. Ma per avanzare le proprie ambizioni europee, i francesi hanno bisogno di un partner solido, ed ecco perché la scelta ricade su Berlino. Con una dimostrazione di fedeltà ad aprire il rafforzamento della continuità che il nuovo Eliseo vuole imprimere sulla trazione europea. Macron partirà sì con un ambizioso piano per l’aumento delle spese militari, portando la Francia a toccare i 50 miliardi l’anno entro il 2025 e sfondare il tetto Nato del 2 per cento, ma soltanto dal 2018: prima, nell’anno in corso, le spese saranno tagliate per permettere un allineamento del deficit all’interno dei parametri del 3 per cento che piacciono alla Cancelliera.

UN PROGRAMMA STRUTTURALE

In un’intervista su Formiche.net, Jean Pierre Darnis, direttore del Programma Sicurezza, Difesa, Spazio dell’Istituto Affari internazionali, ha sostenuto che Francia e Germania hanno chiuso il giro su uno degli aspetti che mancava al progetto ambizioso della difesa comune europea. L’annuncio, il 13 luglio, della volontà di lanciare un programma congiunto per costruire un caccia di Quinta generazione è quel genere di sistema strutturale che dà sostegno al progetto. “È bene che l’Italia guardi questo con sano pragmatismo, ma senza paranoie. Ci sono finestre di opportunità, che possono essere sfruttate: è una cosa di chi è dentro il programma Eurofighter, e l’Italia c’è con Leonardo”, aggiungeva Darnis.

LA SFIDA ALL’ITALIA

Sempre in un commento per Formiche.net, il generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, ha dato dell’annuncio una lettura diversa, concentrata sull’Italia: la Germania, dice, è un paese che dal punto di vista operativo “non ha nulla da dire”. Un dettaglio tecnico, per esempio: “Con la persistenza di scenari di confronto puntualmente asimmetrici, i velivoli armati combinano più guai di quanti problemi risolvano; soprattutto se usati in maniera indiscriminata come nel teatro siro-iracheno o yemenita”, scrive Tricarico. Inoltre, aggiunge, il problema è la difficoltà di raggiungere gli standard degli F-35 americani, “soprattutto sul versante software, perché questo è il vero nodo tecnologico”.

MAGGIORE EUROPIZZAZIONE DELL’F-35

Si chiede il generale: perché, nella ricerca di un jet di Quinta generazione, non si cerca di pressare per una maggiore “europizzazione” del programma F-35? “Perché non consorziarsi, come si è sempre fatto quando si utilizza un sistema di armamento comune, e parlare con una sola voce al partner di maggioranza, gli Usa, spuntando condizioni migliori di partecipazione al progetto?”. Leonardo-Finmeccanica, dice Tricarico, “ancora una volta rischia di rimanere schiacciata dalla prepotenza di altri”, e perciò dovrebbe fare “fronte comune e fornire al governo gli strumenti idonei ad impedire che l’improbabile progetto di un caccia franco-tedesco di asserita, ma poco credibile, quinta generazione, vada a compimento”.

UNA MOSSA POLITICA?

Tricarico ricorda inoltre “la deludente prova data da un progetto a tecnologia infinitamente più bassa”, il velivolo da trasporto militare AM-400, e pone un dubbio critico: “Vuoi vedere che le industrie di Francia e Germania hanno convinto i rispettivi governi a lanciare un programma che consenta l’accesso al fondo comune per la Difesa, quello varato lo scorso 7 giugno e dotato di 5,5 miliardi l’anno?”. Qui vale la pena ricordare che la Francia ha un sistema di aziende che lavorano nel comporto difesa composto da 4000 ditte, un indotto pari a 165mila dipendenti da nutrire.

CHE COSA PUÒ FARE L’ITALIA

“Il tema difesa europea, comunque, avrà necessariamente un impatto fortissimo sul nostro sistema industriale”, scrive Guido Crosetto, presidente dell’Aiad in un op-ed per il numero di luglio-agosto di Airpress. Crosetto ricorda che la Commissione europea ha già esposto una linea chiara: troppe aziende nel settore, servirà una razionalizzazione, che porterà davanti all’industria europea della difesa un’inversione – positiva – di tendenza, segnando un aumento delle spese (tendenti al 2 per cento, dall’1,4 attuale) anche perché Bruxelles non può restare indietro su questo aspetto strategico. “Bisogna prepararsi ad andare a prendere, o almeno a sapere come chiedere, i fondi comuni” ha detto Crosetto durante l’assemblea privata della Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza che presiede. Diventa necessario fare sistema, ma “non esiste un sistema vincente se non c’è un prime vincente”. Per questo Leonardo-Finmeccanica giocherà il ruolo centrale nel futuro.

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