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Le ultime baruffe (diplomatiche) fra Putin e Trump sulle sanzioni alla Russia

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Domenica il presidente russo Vladimir Putin ha detto in diretta a Russia-24, canale statale all news, che 755 funzionari diplomatici americani dovranno lasciare il paese entro l’1 settembre. Nella contabilità della crisi dei rapporti tra Washington e Mosca, Putin intende riequilibrare il personale di ambasciate e consolati americani in Russia: gli Stati Uniti hanno oltre milleduecento diplomatici sul suolo russo, il Cremlino ne ha 455 su quello statunitense – 455 è il magic number che secondo Putin deve essere raggiunto da entrambi per rendere le reciproche rappresentanze paritarie ed eque.

Ma i numeri sono solo un’evidente giustificazione per la profonda azione politica, che in realtà è una rappresaglia di Mosca contro il passaggio, bipartisan e bi-camera, delle nuove sanzioni con cui Washington intende punire (ancora) l’invasione della Crimea, la crisi ucraina, e l’interferenza durante le elezioni presidenziali. Il Congresso ha già inviato il piano legislativo sul tavolo dello Studio Ovale, e davanti al presidente Donald Trump, in crisi con il sistema politico interno e assediato dal Russiagate, restano poche strade se non la firma (già annunciata) sulla legge. E così, stante anche alla contromossa russa (già annunciata pure questa nei termini qualitativi a cui il presidente ha dato anche peso quantitativo), abbandonare per il momento la possibilità di stringere la cooperazione e le relazioni con la Russia – almeno sul piano ufficiale.

Questo genere di screzi diplomatici non è una novità: il 30 dicembre del 2016, in uno dei suoi ultimi atti, Barack Obama ordinò l’espulsione immediata di 35 diplomatici russi dagli Stati Uniti, nella prima delle misure sanzionatorie americane per l’interferenza durante le elezioni. In quell’occasione Putin non reagì, ma “la restrizione e pazienza” esercitate da Mosca, aveva ricordato il presidente la scorsa settimana, hanno un limite. Nel contesto generale Putin sfrutta la situazione: alza una misura simbolica per reagire a quelle che considera un’ingiustizia, un’aggressione, e gioca con lo scenario internazionale. L’Unione europea ha già protestato contro le sanzioni statunitensi: considerate unilaterali, si portano dietro il rischio di colpire insieme alle aziende del comparto energetico russo – su cui si concentrano – anche controparti europee impegnate in progetti congiunti; nonché, in larga misura, di alterare le dinamiche dell’approvvigionamento indipendente dell’energia in UE. Per Putin è un’occasione per sottolineare la divisione (informale) tra Europa e Stati Uniti, e spostare Bruxelles verso una linea politica (informalmente) più accondiscendente.

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