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La chiusura dei porti viola il diritto internazionale. Parla il prof. Cherubini (Luiss)

“La chiusura dei porti è una violazione del diritto internazionale e della Cedu, la convenzione europea per i diritti dell’uomo”. Parola di Francesco Cherubini, docente di Diritto dell’Unione europea alla Luiss Guido Carli.

Il vertice di Tallinn sui migranti della scorsa settimana ha visto formarsi un compatto asse politico fra Francia e Germania restio alla solidarietà nell’accoglienza al fianco degli italiani. L’ennesima dimostrazione che in Europa sull’emergenza migratoria prevalgono le alleanze politiche rispetto agli obblighi contratti. Perché prima ancora dei regolamenti e delle direttive UE, ci sono le norme di diritto internazionale a regolare l’accoglienza dei rifugiati e il soccorso dei migranti, sia pure “economici”, che rischiano la vita in acqua. Sui media abbiamo sentito negli ultimi giorni nominare alcune convenzioni, come quella di Amburgo del 1979, non di rado in modo confuso e impreciso. Per questo Formiche.net ha intervistato Francesco Cherubini, docente di Diritto dell’Unione europea alla Luiss.

La prima convenzione da prendere a riferimento sul diritto del mare è la Convenzione di Montego Bay del 1982, ratificata da ben 160 Paesi (l’Italia nel 1994). E la prima questione da chiarire sul tema migranti è la famosa diatriba sulle 12 miglia. La guardia costiera libica, e gli altri accaniti detrattori, accusano le navi delle ong di spingersi oltre il limite delle 12 miglia dalle coste della Libia nelle operazioni di soccorso dei migranti. La convenzione del 1982 all’art. 3 recita: “Ogni stato ha il diritto di fissare la larghezza del proprio mare territoriale fino a un limite massimo di 12 miglia marine […]”.

Le ong possono avventurarsi all’interno del mare territoriale libico? “In linea di massima il diritto internazionale non proibisce alle navi battenti una bandiera diversa dallo Stato costiero di passare attraverso il mare territoriale, si chiama diritto di passaggio inoffensivo”, spiega Cherubini, “lo Stato irradia la propria sovranità sul mare territoriale ma con alcuni limiti”. Limiti peraltro elencati scrupolosamente dalla convenzione quando cita le fattispecie di passaggio “offensivo”: ovvero quando questo sia “pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero”, o ancora nel caso di manovre ed esercitazioni militari, carico e scarico di merci illegali, tutte situazioni assai lontane dal recupero dei migranti.

Un altro dubbio su cui serve far chiarezza è il seguente: il diritto internazionale permette alle navi delle ong di soccorrere i migranti anche se non sono in pericolo di vita? È una delle tante accuse della guardia costiera libica alle ong. L’ong tedesca Sea-Watch aveva raccontato a maggio a Formiche.net di un incidente con una nave libica, che ha impedito loro di recuperare i migranti riportandoli a Tripoli. I libici in quel caso accusarono i volontari tedeschi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, perché i migranti non erano in pericolo.

Per Cherubini invece “le condizioni delle imbarcazioni su cui viaggiano questi migranti sono tali che il pericolo effettivo per le persone c’è sempre”. “Ci sono dei criteri sui quali è inutile discutere, perché una barca che si trova in quelle condizioni è sicuramente in una situazione di pericolo, se non altro perché porta con sé un numero di passeggeri che è di gran lunga superiore a quello che potrebbe portare”. In questo caso, chiarisce il giurista, non c’è dubbio: il diritto internazionale “obbliga un’imbarcazione che si trova nelle vicinanze, anche una nave commerciale, ad aiutare quelle persone”.

Le dichiarazioni del ministro Minniti a Tallin, quando ha adombrato l’ipotesi di una chiusura dei porti italiani alle navi delle ong, hanno sollevato un acceso dibattito. L’Italia può davvero chiudere i porti? L’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, conversando con Formiche.net, ha risposto alla domanda con un sì netto. Cherubini precisa: “La chiusura dei porti è una violazione del diritto internazionale, delle norme sui diritti umani ma soprattutto degli articoli 2 e 3 della Cedu”. E forse anche della convenzione di Amburgo, firmata anche dall’Italia nel 1979 (con Andreotti a Palazzo Chigi e Forlani alla Farnesina), “che parla di dover garantire l’ingresso” alle navi con i migranti a bordo in stato di pericolo.

E se una nave delle ong decidesse di entrare nei porti senza il permesso, l’Italia come potrebbe reagire? “Ci sono diversi metodi che uno Stato può utilizzare per impedire l’ingresso in una zona di mare, verosimilmente quello territoriale”, risponde Cherubini. Il docente di Diritto dell’Unione europea ricorda “un famoso caso del 2001 che riguardava l’Australia, in cui una nave norvegese che trasportava migranti, alcuni dei quali necessitavano di cure mediche piuttosto urgenti, si è diretta verso il mare territoriale australiano nonostante il divieto”. L’Australia ha utilizzato le proprie forze speciali d’aviazione, c’è stata una lunga trattativa e queste persone sono dovute approdare altrove (in Nuova Zelanda e nella piccola isola di Nauru)”. Si trattava del cargo norvegese Tampa con 434 profughi afgani a bordo, che costò una telefonata di fuoco dell’allora premier norvegese Jens Stoltenberg al premier australiano John Howard. Con un respingimento del genere, l’Italia non solo “violerebbe l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sul non refoulement”, cioè sull’obbligo di accoglienza dei rifugiati, ma anche “gli articoli 3 della CEDU e 4 del protocollo n. 4 della CEDU sul divieto delle espulsioni collettive”.

Resta infine da sfatare un falso mito: se, ad esempio, l’ong Proactiva open arms batte bandiera spagnola, non rappresenta la Spagna e non è tenuta a portare i migranti sulle isole Baleari piuttosto che sulla più vicina isola di Lampedusa. “La vecchia interpretazione di diritto internazionale della nave battente bandiera di uno Stato come parte del suo territorio per certi versi rimane corretta, perché lo Stato vi esercita la sua giurisdizione” chiarisce Cherubini, “ma questo non vuol ovviamente dire che le sue condotte ricadano nella responsabilità di quello Stato”.

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