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Perché la politica (e non la legge) avrà l’ultima parola sui migranti in Europa

Minniti

La baruffa mediatica sulle dichiarazioni del rappresentante italiano a Bruxelles Maurizio Massari al Commissario per la migrazione Dimitris Avramopoulos non fa che confondere le idee su un tema già di per sé complesso. L’ambasciatore italiano aveva detto al commissario greco che l’Italia è pronta a chiudere i porti alle stesse navi delle ong qualora gli altri paesi europei non contribuiscano all’accoglienza dei migranti. Un cambio di toni repentino che ha trovato comprensione in Avramopoulos, rappresentante di un’altra nazione, la Grecia, vessata dagli sbarchi e lasciata sola da Bruxelles. Ma al tempo stesso ha inasprito i rapporti diplomatici, forse invano.

Perché prima di minacciare la chiusura dei porti italiani, non soltanto il governo italiano deve dimostrare di volerlo fare per davvero, ma anche di averne la facoltà. E qui subentra, prima ancora delle questioni politiche e del tema di una sussidiarietà europea inesistente, il diritto internazionale. Due sono i cavilli giuridici a cui si stanno appellando gli opinionisti in questi giorni. Il primo è tratto dalla Convenzione di Amburgo firmata nel 1979, che prevede che i migranti soccorsi in mare vengano trasportati nel porto sicuro più vicino. Dunque, se le operazioni di soccorso avvengono a partire da 12 miglia dal porto di Tripoli (da dove parte la maggior parte dei “viaggi della speranza”), il porto più vicino è quello tunisino di Zarzis, non Lampedusa. Se invece i barconi vengono intercettati a Nord Est, è probabile che Malta sia il porto sicuro più vicino.

Eppure tutte le navi delle Ong si dirigono sempre verso Lampedusa. Un po’ perché Malta, pur ricevendo silenziosamente e di continuo i trafficanti di merci dalla Libia che si fermano per fare rifornimento o vendere il carburante libico, si dichiara un paese troppo “piccolo” per accogliere i migranti (dal 2017 neanche uno sbarco nel porto di La Valletta) salvo poi ricevere i fondi europei per l’accoglienza come gli altri paesi. Un po’ perché la Tunisia non è considerata un paese in grado di fornire un’ “accoglienza dignitosa” ai migranti in linea con la convenzione del 1979. Non è chiaro tuttavia come l’implosione di un porto come quello di Lampedusa con carichi esorbitanti di migranti garantisca la dignità dell’accoglienza.

Il secondo punto lo ha sollevato venerdì scorso Federico Fubini su Il Corriere della Sera. Come mai le navi delle ong, quasi tutte spagnole, tedesche o francesi, non sbarcano i migranti in Corsica o sulle sponde delle isole Baleari? Per rispondere a questa domanda bisogna risalire a un altro accordo, il più importante del diritto del mare, la convenzione di Montego Bay del 1982.

L’articolo 91 comma 1 della convenzione recita: “Ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, dell’immatricolazione nel suo territorio, del diritto di battere la sua bandiera. Le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui sono autorizzate a battere bandiera. Fra lo Stato e la nave deve esistere un legame effettivo”.


Dunque le navi che battono bandiera di uno Stato devono avere l’autorizzazione da parte dello Stato di appartenenza: se sono autorizzate a farlo, ciò significa che hanno la nazionalità di quello Stato. Quali sono gli obblighi di uno Stato che autorizzi una nave a battere la sua bandiera? L’art. 93 comma 1 della convenzione recita: “Ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione e il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera”.


Non tutte le navi delle Ong impegnate nel Mediterraneo battono la bandiera di uno Stato, ma alcune certamente sì. È il caso della nave “Astral” della famosa Ong Proactiva Open Arms, che nelle immagini reperibili su google presenta una bandiera spagnola issata sull’albero. Delle due l’una: o la nave non è stata autorizzata dallo Stato spagnolo a battere quella bandiera, un’eventualità improbabile, oppure, ai sensi della convenzione de 1982, lo Stato spagnolo ha il dovere di esercitare il controllo sulla nave previsto dall’art. 93. Come si concilia questo dovere con la leggerezza con cui l’accoglienza dei migranti caricati su queste navi viene addebitata unicamente allo Stato italiano?

Stefano Vespa ha ricostruito su Formiche.net i numeri della crisi che lo Stato italiano si trova ad affrontare da solo: al 30 giugno i migranti arrivati in Italia quest’anno sono 83.360, il 18,7% in più rispetto all’anno precedente. Solo una minima parte sono rifugiati in fuga dalla guerra. La stragrande maggioranza, soprattutto dopo la chiusura dei rubinetti a Est grazie all’accordo con la Turchia di Erdogan, sono migranti economici provenienti dall’Africa subsahariana. Di questi il presidente francese Emmanuel Macron, che aveva promesso un pressing su Bruxelles per aiutare l’Italia, ha già chiarito a Berlino nel summit dei leader europei del G2O di non volersene occupare.

Il forcing italiano su Bruxelles potrebbe risolversi in un nulla di fatto, se non addirittura ridurre le chances di un aiuto dall’UE. Ma in questa Europa dove il linguaggio della politica, assai più di quello degli accordi internazionali, è l’unico ad avere voce in capitolo, la reciprocità rimane l’unica arma a disposizione.

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