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Mai dire Di Maio. Le tre bugie del Cinque Stelle che dovrebbe dimettersi

Bufale affumicate“, ha scritto venerdì scorso Dagospia, con il consueto sarcasmo. Le bufale in questione sono le fantasiose invenzioni del Vice Presidente della Camera, Luigi Di Maio, sul suo presunto interessamento nel richiedere ad altri Paesi europei l’intervento di Canadair per spegnere l’incendio nel Parco del Vesuvio. Di Maio si è recato in quella zona nel momento in cui si è accesa l’attenzione mediatica, non proprio disinteressatamente: si tratta del suo territorio di elezione. E naturale quindi che abbia cercato una vetrina di primo piano. Lo ha fatto tracciando uno storytelling che ha incrociato fotografie e testi, entrambi incandescenti:

Ieri sera, finito il lavoro alla Camera, mi sono immediatamente recato al Parco nazionale del Vesuvio o – sarebbe più giusto dire – quel che ne rimane. (…) Sono stato tutta la sera al telefono con le ambasciate degli altri Stati europei per chiedere l’invio dei loro canadair, perché quelli a disposizione purtroppo non sono abbastanza. Ora non serve fare polemica, dobbiamo solo rimboccarci le maniche e aiutare le aree colpite, serve subito che gli altri Paesi europei ci inviino i loro aerei per spegnere le fiamme, così come l’Italia ha fatto con il Portogallo qualche settimana fa.
Sono in arrivo dalla Francia 3 aerei di cui due canadair. Grazie! Fate presto.

La costruzione dell’assunto induce a pensare che Di Maio, al telefono tutta la sera con i detentori dei Canadair, ne abbia ottenuti dalla Francia. Tanto che il sillogismo con cui dà conto del suo impegno si conclude con l’esclamazione soddisfatta: Grazie! Fate presto. Come se il dialogo con la Francia, che invierà i suoi Canadair sul Vesuvio, fosse stato tanto serrato da meritare un ringraziamento pubblico all’interlocutore francese.

Peccato che quell’interlocuzione si sia rivelata del tutto immaginaria. Perché falsa. Luigi Di Maio non ha mai chiamato l’ambasciata francese, come abbiamo avuto modo di appurare facendo fact-checking con i diretti interessati. Me ne sono occupato personalmente, scrivendo una mail la mattina del 14 luglio, Presa della Bastiglia, all’indirizzo della capo ufficio stampa della sede diplomatica della Francia presso l’Italia. Sentivo puzza di bruciato, e non proveniva dagli alberi in fiamme. Mi incuriosiva capire come e con chi Di Maio avesse sollecitato i Canadair, ed ho chiesto una semplice conferma che le cose fossero andate come egli aveva avuto modo di sbandierare, con stile poco sobrio e per nulla istituzionale.

Tre ore dopo, squilla il cellulare. E’ un funzionario dell’Ambasciata francese. Prova a parlare italiano ma lo invito a servirsi della propria lingua. “Non vogliamo entrare nelle vicende politiche italiane”, è la sua premessa.

“Vogliamo però smentire assolutamente di essere stati contattati da Di Maio. Non ha mai chiamato, né mandato messsaggi. La richiesta dei Canadair è arrivata dalla Protezione Civile e a loro la abbiamo accordata”, mi dice.

Va oltre quel che immaginavo. Mustafa Soykurt, Consigliere per la Comunicazione dell’Ambasciatrice Colonna, non mi liquida con una cortesia diplomatica ma va dritto sull’obiettivo. E lo centra. Gli chiedo una mail per mettere nero su bianco quanto mi ha appena dichiarato. “Nessun problema. Le mando due righe”. E così fa. Da quel momento è chiaro per tutti come la lunga serata al telefono con le diplomazie di mezza Europa, tratteggiata nella narrazione dimaiesca, è in realtà una solenne e svergognata invenzione.

 

Mail ambasciata francese

Diffondo la notizia, ripresa da tutte le agenzie di stampa e letta da Enrico Mentana al Tgla7 delle 20. Immagino il tramestìo nel formicaio a Cinque Stelle. Poco dopo, infatti, sui social network Casaleggio lancia la controffensiva, scandita con gli schemi che ormai conosciamo. Da anni, chiunque si spinga a mettere in discussione l’inerrante verbo pentastellato viene fulmineamente raggiunto da biliose scariche di insulti e da più di qualche minaccia personale. Non me ne sono mai fatto un problema: aver punto sul vivo il loro candidato premier in pectore – lo capisco – non può che generare il ruggito dei leoni da tastiera, in modalità ruttino. L’eco del quale interesserà anche tutti i parlamentari, i giornalisti e i commentatori che si azzarderanno a riprendere la notizia.

La colossale balla di Di Maio ispira anche una decina di vignette e di battute che circolano in rete: Di Maio che chiama il bar e ordina un Franciacorta; Di Maio che telefona ma trova sempre occupato; Di Maio che prova a telefonare ma scopre di avere esaurito il credito; Di Maio che monta un Canadair con il Lego. Ironia che la dice lunga sugli umori della rete ma che non oscura la gravità del fatto in sé: un Vice Presidente della Camera si è preso gioco della buona fede dei cittadini, per di più in un momento drammatico, rivendicando un merito salvifico, un intervento risolutorio mai avvenuto. Parlamentari del Pd, di Sel e di Forza Italia cavalcheranno la notizia, parlando di brutale speculazione ai danni delle popolazioni colpite.

Ambienti pentastellati il giorno dopo si incaricano di calciare la palla in tribuna, ma fanno autogol. Dettano all’AdnKronos:

“Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha, tra le altre cose, tentato di contattare anche l’ambasciata di Francia, passando attraverso la batteria. Un funzionario ha ricevuto la sollecitazione. Così come avvenuto negli altri casi, non ci sono stati contatti diretti con l’ambasciatore”.

Siamo passati da “Tutta la sera al telefono con le ambasciate” al tentativo di chiamare la Batteria del Viminale, il servizio di super centralino tra le autorità dello Stato (e tra autorità e media) che deve garantire la realizzazione di comunicazioni immediate, anche fuori orario. La velina dei Cinque Stelle accenna a “un funzionario che ha ricevuto una sollecitazione”, ma anche in questo caso la costruzione della frase è equivoca: non si stabilirà mai se il funzionario che ha lasciato la pratica irrisolta fosse quello del Viminale o dell’Ambasciata francese, invero piuttosto solerte e puntuale nei dettagli. Va da sé che non c’è mai stata alcuna telefonata, tanto che nessuna ambasciata, una volta emerso il caso, ha fatto sapere di essere stata contattata. Nessun funzionario intermedio. Nessuna traccia di telefonate dal cellulare di Di Maio. Nessun tabultato. Nessuna mail di riscontro. Non un sms. Niente di niente.

Il caso si configura come la più evidente ammissione di infingimento da parte di una carica dello Stato nei confronti dell’opinione pubblica. Il fine settimana trascorre con il bollore estivo, gli italiani si riversano al mare. Di Maio tace. E’ lunedì 17 quando il Campione dei Canadair torna a calcare le scene della Camera. Lo fa per una conferenza stampa che avrà come prima domanda: “Ha mentito sui contattati con l’Ambasciata di Francia?”. Di Maio fa spallucce e per una volta il velo dell’imbarazzo fa la sua comparsa sul volto usualmente algido.

“In questo caso mente l’agenzia. Voglio far notare che i roghi continuano e non ho intenzione di alimentare polemiche”, risponde, rifiutandosi di andare oltre. Avanti un’altra domanda.

Ma di quale agenzia parlava Di Maio? La smentita è ufficiale e proviene dall’Ambasciata. La mail dell’ufficio stampa è stata diffusa da me che l’ho ricevuta e tutte le agenzie di stampa, all’unisono, l’hanno correttamente pubblicata. Dunque Luigi Di Maio ha mentito un’altra volta, e questa volta a reti unificate, in conferenza stampa, asserendo che sia falsa una prova che ho messo e metto a disposizione delle autorità, provando a smentire la smentita di una sede diplomatica e addossando la colpa – in maniera sempre più vaga – al sistema dei media, alle agenzie.
Mi sono preso la responsabilità individualmente, invece: Di Maio mi quereli, così dovremo andare in aula e mettere a confronto, davanti a un magistrato, le evidenze che ciascuno ha. Non chiedo altro, non mi aspetterei di meglio.

Ma non lo farà mai. Vedrete: cambierà tema, piuttosto. Proverà a infognare.

Perché Di Maio ha mentito tre volte, in questa vicenda. Non ha mai trascorso tutta la sera chiamando una a una le ambasciate. Non è credibile che abbia tentato di passare per il tramite della Batteria del Viminale, non riuscendo purtroppo a parlare con nessuno. Va bene riconoscersi dei limiti, ma con la Batteria a disposizione qualunque minus habens sarebbe riuscito a comunicare compiutamente. Infine ha mentito ai giornalisti in conferenza stampa, dicendo che “Mente l’agenzia”.

Nel mondo civile, un politico che presiede un incarico istituzionale di rilievo e mente tre volte in tre giorni, non rimane in carica.

 

 

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