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Di Matteo, Ingroia e i fissati della trattativa Stato-mafia

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La trattativa Stato-mafia si estende in Calabria. Lo ha annunciato il procuratore aggiunto di Reggio Giuseppe Lombardo. Nonostante la dimostrazione della sua esistenza si sia fin qui scontrata con  un lungo elenco di assoluzioni nella realtà processuale, c’è un gruppo di accaniti assertori della trattativa che non demorde. Oggi il suo esponente di spicco è il sostituto procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo (ministro degli Interni in pectore del M5S?) (in foto). Ieri era Antonio Ingroia, l’ex star della magistratura siciliana che aveva elevato -insieme a Marco Travaglio– Ciancimino jr a “icona dell’antimafia”, nonché ex leader di una lista intitolata “Rivoluzione civile” (un clamoroso flop elettorale), poi messo a capo dal governatore Rosario Crocetta di “Sicilia e-Servizi” (con esiti certo non esaltanti per il funzionamento del web della Regione).

La sua parabola è emblematica. Basta dare solo un’occhiata alla storia nazionale per accorgersi che gli italiani fanno presto ad invaghirsi del Girolamo Savonarola di turno, e fanno anche presto a disfarsene. Alla fine del Quattrocento il frate domenicano si presentò al popolo fiorentino come il moralizzatore di una Chiesa simoniaca e corrotta e di una società lasciva e viziosa, per fondare una “Nuova Gerusalemme” mondata dal vizio e dal peccato. Conosciamo l’infausto destino a cui andò incontro il “profeta disarmato”, come lo definì Niccolò Machiavelli. Gli odierni “Piagnoni”, come si chiamavano i seguaci di questo tragico personaggio, con le loro intemerate contro la “casta” tendono ora a rinverdirne le gesta. In che modo?  Non è difficile capirlo: confondendo etica pubblica e morale privata.

In altre parole, escludendo che il politicamente utile possa essere moralmente giusto se misurato con il metro di quell’etica pubblica che riguarda, appunto, la salus rei publicae, l’interesse generale contrapposto agli interessi particolaristici (beninteso, la “salute della patria” ha contenuti storicamente mutevoli, che danno sempre luogo a conflitti e interpretazioni divergenti). Da noi, infatti, l’appello all’etica continua ad essere usata come una clava per abbattere nemici e avversari, per trasformare i rei in peccatori e i peccatori in rei, per sublimare ogni ladro di galline in un incallito mafioso (ogni riferimento al fu Mafia Capitale non è puramente fortuito). Eppure Max Weber ci ha insegnato che la politica non è nata ad Assisi. Ma a Luigi Di Maio e ad Alessandro Di Battista che gliene importa? Per loro è nata sulla Rete di Gianroberto Casaleggio, quando Beppe Grillo nei suoi spettacoli teatrali entrava ancora in scena indossando la tunica di Savonarola e spaccando un computer sul palcoscenico.

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Pur avendo una certa dimestichezza con le tortuosità della sinistra italiana, confesso che senza i preziosissimi portolani di Formiche non capirei un fico secco di quel cafarnao che è oggi il dibattito interno al Pd sulla questione delle alleanze (pre o post elettorali). Certe volte ricorda Hellzapoppin, il film diretto nel 1941 da Henry C. Potter, pietra miliare della commedia dell’assurdo e del surreale. Purtroppo, osservando le rotte di navigazione di Matteo Renzi, “Non è pileggio [traversata audace] da picciola barca/ Quel, che fendendo va l’ardita prora,/ Né da da nocchier ch’a se medesmo parca [ si risparmia per paura]” (Dante, Paradiso, Canto XXIII).

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Pecca fortiter, sed fortius crede (“Pecca anche molto, ma credi ancora di più”): con questo motto Lutero esprimeva il primato della fede sulle opere buone ai fini della salvezza dell’anima. Papa Francesco recentemente ha affermato il contrario: all’Inferno ci andranno non coloro che credono poco o non credono, ma gli iniqui, i corrotti, i bancarottieri, chi vive solo per fare soldi. A occhio e croce, almeno stando alle cronache di questi mesi, sarà pieno di italiani.

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“Siate morbidi sulla morale ma tenete duro sul dogma”, diceva il gesuita di André Gide. A me il gesuita Bergoglio piace anche perché sostiene, in fondo, esattamente il contrario.

 

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