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Angela Merkel riuscirà a raggiungere il record di Kohl?

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È vero che gli uomini (e le donne) fanno la storia nei confini delle circostanze, degli incidenti, delle opportunità loro offerte, ma è altrettanto vero che da soli, né gli uomini né le donne sono in grado di fare molta strada e di uscire dai confini iniziali. Probabilmente per le sue origini, sicuramente per le modalità della sua carriera politica, Angela Merkel ha costantemente tenuto conto dei confini nei quali poteva agire, ma ha saputo sfruttare tutti – ma proprio tutti – gli spazi interni.

Cancelliera ininterrottamente dall’ottobre del 2005, se riuscirà a confermarsi alle elezioni di fine settembre 2017, potrà restare in carica fino al 2021. Riuscirà così a eguagliare il record del Cancelliere Helmut Kohl (1982-1998), che le offrì il primo incarico ministeriale da lei svolto. Sicuramente, Angela Merkel sarà orgogliosa dell’eventuale conseguimento del record di durata, seppure a pari merito con il suo mentore. Ma, altrettanto sicuramente, i suoi obiettivi sono stati altri, per lei preferibili alla durata e alla stabilità in carica, mere precondizioni per l’efficacia della sua azione di governo. È anche vero che, in un modo o nell’altro, più o meno tutti i tedeschi ritengono che la crescita economica, e più in generale il benessere complessivo dei connazionali, debba essere l’obiettivo prioritario di qualsiasi governo il cui conseguimento è il miglior segnale del successo complessivo di qualsiasi leadership politica.

Angela Merkel si è trovata nella condizione oggettiva di esercitare la sua – pur talvolta riluttante – leadership anche nel contesto dell’Unione europea. Potremmo andare alla ricerca di sue affermazioni a favore di quello che soprattutto i commentatori critici e accigliati definiscono Ordoliberalismus, facendone la cultura politico-economica dominante della Germania merkeliana (ma anche dei democristiani suoi predecessori) che sembra essere imposta a tutti gli europei. Commetteremmo, però, due errori. Il primo consiste nel pensare che la Cancelliera abbia mai obbligato tutti i capi di governo dell’Unione europea a rispettare una visione rigida dell’Ordoliberalismus. Al contrario, la combinazione di rigore-austerità-disciplina è ampiamente condivisa da molti Stati membri dell’Unione che, di conseguenza, hanno appoggiato in maniera convinta la leadership di Angela Merkel, vera garanzia di stabilità e di prevedibilità dei comportamenti. Non siamo di fronte a una donna che si fa guidare da un’ideologia, ma neppure oscilla perché priva di principi. La leadership politica di Angela Merkel è basata su convinzioni che sono poste a confronto con la realtà dell’Unione e della globalizzazione.

I governanti degli Stati membri dell’Unione possono confrontarsi con queste realtà sfidandole, meglio se facendolo dall’alto di comportamenti virtuosi e creando eventuali coalizioni alternative che sappiano, ad esempio, indicare come tenere insieme in maniera efficace entrambi gli elementi del Patto: stabilità e crescita. Il secondo errore che sta alla base delle critiche a lei rivolte è pensare che non esistano, dentro e intorno alla Democrazia cristiana tedesca, spinte molto più nazionaliste, severe e punitive nei confronti di alcuni Stati membri poco credibili nelle loro politiche, nelle loro promesse, nelle loro prestazioni.

Il successo di Angela Merkel va, dunque, misurato anche con riferimento alla sua capacità di equilibrare in Germania, nonché in Europa, spinte contrapposte che potrebbero risultare destabilizzanti. Probabilmente, la riconferma alla Cancelleria le offrirà l’occasione di spostare la sua azione di governo verso il polo della crescita, ma, fin d’ora, il criterio da utilizzare per valutare quanto ha fatto è chiedersi se l’alternativa “tedesca” a Merkel sarebbe stata nel senso della crescita oppure della rigidità.

Un giorno, temo non molto vicino, potremo anche chiederci quale sia stato l’impatto della dichiarazione di disponibilità della Merkel ad accogliere in Germania fino a un milione di rifugiati siriani. Vedremo che la Cancelliera di ferro reagì in parte con motivazioni anche economiche (sì, la Germania ha bisogno di manodopera anche non qualificata alla quale insegnerà le tecniche, la lingua, lo stare insieme), in parte con motivazioni altissime di natura culturale ed etica: l’accoglienza è un valore in sé; ma è anche in grado di mettere in moto altre energie (sfidando nazionalismi tanto malposti quanto pericolosi). Lo so: ai posteri l’ardua sentenza. Ma è proprio ai posteri, molti dei quali già vivono fra noi, che per stilare un bilancio dei governi guidati da Angela Merkel suggerisco di tenere in grande conto questa sua politica per i migranti.

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