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Perché la Corte dei Conti farà un buco nell’acqua sui derivati del Tesoro

È di oggi la notizia che la Corte dei Conti vorrebbe richiedere i danni erariali al gestore del debito pubblico italiano, Maria Cannata (in foto), e ad alcuni direttori generali e ministri del Tesoro per una cifra monstre complessiva di 1,2 miliardi di euro.

Cerchiamo di spiegare perché questa notizia, sicuramente vera, non è altro che l’ennesimo abbaiare di un cocker nano in un campo da calcio olimpico, pure vuoto.

Andiamo per ordine. La Corte dei Conti ha competenze di controllo sulla regolarità degli atti amministrativi dello Stato, mentre i contrati Over The Counter stipulati dal Tesoro sono regolati dal diritto privato; il danno erariale è, quindi, una conseguenza del contratto e non influenza minimamente la sua causa e la sua validità. Il Tesoro deve quindi onorare gli impegni presi con le banche.

La nuova causa giudiziaria che si avvia a udienza nell’aprile 2018 vorrebbe dimostrare il profilo speculativo dei contratti sottoscritti dal tesoro a metà degli anni 2000; ma che significa speculazione?

In italiano “speculazione” è una parola con accezione negativa, spregiativa e un poco piratesca; i giuristi la associano a “rischio”, “alea”, “scommessa”. In inglese, lingua in cui la finanza si esprime, non ha alcuna accezione di questo tipo. La speculazione è il guadagno dal rischio, il vero motore dei mercati. I contratti derivati di cui parliamo sono scritti in inglese, con competenza del foro di Londra. Il rischio è lecito, con buona pace dei nostri giudici amministrativi.

Passiamo a cosa c’è scritto in questi contratti. Premetto che sono anni che cerco di avere accesso a questi contratti, senza fortuna, quindi ragionerò per analogia con altri casi e in base a quanto ho saputo parlando con funzionari, banchieri ed esperti. Nel 1998 con l’avvio della fase tre dell’euro l’Italia si accinge a entrare nel club dei tassi dell’interesse bassi, dei cambi stabili e del controllo dei conti. In pochi credono che il nostro Paese sia in grado di onorare un tale impegno di rigore, controllo e stabilità e quindi vendono alla Repubblica dei contratti scritti sul debito pubblico che servono a controllare il tasso dell’interesse, ma che prevedono delle penali nel caso l’Italia violi le regole del gioco; tra queste clausole ci sta anche il caso in cui il Rating, cioè il rischio della Repubblica, cambi in modo sostanziale, come accaduto nel 2011. In quel momento il Tesoro poteva pagare la penale indicata nel contratto (2,5 miliardi di euro), oppure poteva chiudere tutti i contratti con un esborso pazzesco, almeno pari a 10 volte tanto. Al Tesoro decisero che non si poteva gravare il debito pubblico in un momento in cui il rendimento del debito italiano era alle stelle e, tappandosi il naso, hanno pagato la penale.

I giudici civili (non amministrativi) si sono già occupati di questi contratti, evidenziando che seppur complessi, scritti in un momento storico in cui i mercati erano profondamente diversi e in cui i rischi erano molto differenti, non si evidenziano profili di violazione delle regole. E qui vengo alle regole.

Esiste una legge che indica come lo Stato debba sottoscrivere contratti di gestione del debito (derivati o altro)? No. Esiste una legge che indica come i dipendenti dello Stato, come la Cannata, debbano comportarsi di fronte a rischi finanziari che si evolvono, in modo del tutto inaspettato? No. Esiste invero una legge che vieta il principio rischio rendimento? No. La Corte dei Conti non ha alcuna chance di incassare un soldo bucato.

Con il mio maestro Paolo Savona abbiamo sollecitato più volte il Parlamento italiano a intervenire sulla materia. Risposta? Zero. La domanda è quindi: le regole chi le vuole?

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