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Perché la passione dei politici per Twitter e Facebook può essere deleteria

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Negli ultimi dieci anni, la smania di comunicare qualsiasi cosa e con qualsiasi mezzo sembra ormai aver preso il sopravvento nella nostra classe politica. È, infatti, passata la tesi, fatta propria da molti esperti comunicatori, che se non sei quotidianamente presente sui media, social inclusi, di fatto non esisti.

Si tratta, a mio modesto avviso, di un grosso equivoco nato dalle novità che Silvio Berlusconi portò nella comunicazione politica in Italia negli anni ’90. Novità che molti hanno pensato di ripetere, indipendentemente dal passo dei tempi, dall’affollamento dei canali e soprattutto dai contenuti. Così un po’ perché tutti ci sentiamo abili comunicatori, un po’ perché suggestionati da ciò che fanno gli altri fuori casa, in questi anni si è visto di tutto e anche di più.

Com’è umano lei” – direbbe Fantozzi – che si fa fotografare, come un quindicenne qualunque, mentre sfida alla playstation il suo compagno di partito a Palazzo Chigi. Oppure, facendo il tifo su Twitter per la vittoria del campione di turno per sembrare nazional-popolare. E ancora, “Andrò in visita in periferia appena sarò eletta, l’ho promesso ai romani. Partiremo da lì!” …auguri. “Oggi, mentre gli altri chiacchierano noi siamo ad Amatrice”. E giù selfie con il sindaco che poi, dopo qualche mese dalla visita, scenderà in piazza perché nulla è cambiato.

Persino i titoli dei provvedimenti, col tempo, hanno acquisito una prosa: il Salva Italia, Italia Riparte, la Buona scuola, salvo poi essere illeggibili anche per un laureato in legge ad Harvard con il massimo dei voti. Per non parlare, dell’uso e abuso di hashtag da parte di tutti #persembrarealpassoconitempi. Con il risultato che, il famoso #enricostaisereno è diventato emblema di perfidia e di trappola di palazzo; benzina sul fuoco ardente dell’antipolitica.

L’80 % dei politici nazionali dispone di un account twitter ma è circa il 30% che ne fa un uso frequente. In quel 30% ci si trova di tutto, dal messaggio diretto all’amico, agli improperi con chi non la pensa come noi, fino alle giornate in famiglia o la partecipazione alla sagra di Paese.

Sfera personale e sfera pubblica diventano così un magma lavico, un continuo e indistinto ammiccamento all’opinione pubblica, utilizzando slogan e frasi fatte che spesso smentiscono precedenti frasi fatte.

Sembrare o essere, fare o promettere? Questi i dilemmi della (comunicazione) politica. Dipende, mi verrebbe da dire. Dipende da quello che sei e che vuoi diventare. Se vuoi essere una meteora fra tante nello spazio siderale, è meglio promettere e sembrare. Se invece vuoi conquistare una reputazione nel tempo, allora devi essere e devi anche fare. E poi comunicare.

Qualcuno oggi sembra iniziare a capirlo. Ad esempio, Paolo Gentiloni un po’ perché l’uomo è schivo di natura e un po’ perché ha capito che la confusione annulla. L’ha capito lo stesso Berlusconi che oggi è molto attento e misura con cautela le sue uscite pubbliche, tanto da essere definito un saggio. Chi lo avrebbe mai immaginato.

@FraSchlitzer

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