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Perché l’introduzione di un salario minimo in Italia è cosa buona e giusta

Di Tito Boeri

Introducendo un salario minimo in Italia avremmo il duplice vantaggio di favorire il decentramento della contrattazione e di offrire uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente numero di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione.

Le premesse per introdurre un salario minimo in Italia ci sono già. Di fatto il nuovo contratto di prestazione occasionale, in vigore fra qualche giorno, viene a fissare per legge una retribuzione minima oraria (12 euro per il datore di lavoro, 9 al netto dei contributi sociali in tasca al lavoratore) e anche un quantitativo minimo di ore di lavoro da prestare, consentendo peraltro il controllo sulla durata effettiva della prestazione. Di qui il passo è breve per introdurre un salario minimo orario nel nostro ordinamento.

Oggi paradossalmente i maggiori detrattori del salario minimo sono i sindacati. Temono che tolga spazio alla contrattazione collettiva. Al contrario il salario minimo copre quel crescente numero di lavoratori che oggi sfugge alle maglie della contrattazione collettiva. Quanti sono? Purtroppo non lo sappiamo. In Italia c’è un pesante deficit di informazione sulla copertura effettiva della contrattazione collettiva. Basta sfogliare l’ultimo rapporto dell’Ocse: mentre per tutti i paesi c’è una serie storica sulla percentuale di lavoratori coperti dalla contrattazione, per l’Italia c’è una sola osservazione tratta, tra l’altro, da una “stima di esperti” ormai datata. Dal momento che il governo, in accordo coi sindacati, ha deciso di investire più risorse nel cosiddetto welfare aziendale soggetto alla contrattazione collettiva aziendale, è fondamentale avere oggi più trasparenza, più informazioni, sulle rappresentatività dei sindacati e delle associazioni di categoria e sui luoghi della contrattazione aziendale.

È una questione di democrazia: dobbiamo sapere chi può accedere al welfare aziendale e chi no. Servirà anche a dare attuazione all’accordo del 2013 sulla contrattazione, su cui le parti tornano ad incontrarsi questo pomeriggio. I dati sulle iscrizioni ai sindacati sono già oggi in possesso dell’Inps, limitatamente alle imprese più grandi e maggiormente sindacalizzate, che fanno capo a Confindustria. Ci dicono che i tassi di sindacalizzazione in Italia potrebbero essere più bassi di quanto comunemente si ritiene: in queste imprese siamo attorno al 25%, molto meno del 40% riportato dall’Ocse, sulla base di segnalazioni degli stessi sindacati. Siamo disponibili a raccogliere anche i dati sulle elezioni delle RSU, utili a completare le misure di rappresentanza definite nell’accordo del 2013.

Il video integrale dell’intervento di Tito Boeri alla Camera dei Deputati è consultabile qui. La relazione annuale e il testo del rapporto qui e qui.

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