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Ecco da dove ripartire per tutelare le scuole paritarie

Anna Monia Alfieri

In un Paese dove si vive sotto l’effetto audience, la cronaca nera fai più ascolti di Onda Verde. Così tutti i palinsesti ne presentano la loro buona dose. Non va meglio a Virginia Raffaele, capace di far sorridere e riflettere, ma si becca qualche querela. Un tempo si diceva che la tv aiutava a crescere: come dimenticare il maestro Manzi? Oggi la tv impegna centinaia di persone a dirci che al peggio non c’è limite.

E sarà mai possibile che in questo clima di pessimismo, dove la paura la fa da padrona, non si riesca ad affrontare le questioni senza dover sempre cercare a tutti i costi l’effetto panico?

Stessa sorte per il tema scuola. È noto che in Italia il sistema scolastico è classista, discriminatorio e regionalista perché, pur riconoscendo alla famiglia il diritto di esercitare la propria responsabilità in un pluralismo educativo, di fatto poi questo diritto non le viene garantito. E i numeri parlano chiaro.

Il totale degli alunni che frequentano la scuola pubblica italiana sono 8.826.893, di cui 7.717.308 sono iscritti alle statali e 1.109.585 alle paritarie. La disparità è notevole, sebbene il numero degli alunni delle paritarie non sia trascurabile: un alunno su sette.

Maggior equilibrio nelle scuole dell’infanzia (983.612 gli iscritti alle statali, 616.165 alle paritarie), ma la forbice si allarga negli altri livelli (Primaria: 2.567.823 a fronte di 237.938; Secondaria di I Grado: 1.637.409 contro 97.995; nella Secondaria di II Grado: 2.528.464 contro 157.487).

L’apertura scientifica alla verità del Diritto (la libertà di scelta della famiglia) e dell’Economia (l’eliminazione dello spreco, da reinvestire per lo Stato) parte dalla Scuola dell’Infanzia che – si noti bene – neppure è scuola dell’obbligo. A Milano qualche giorno fa sono giunte 89 cartelle esattoriali “Tari 2017” dove magicamente sembrava sparita l’agevolazione agli spazi gestiti dalle scuole paritarie riconosciuta dalla virtuosa Amministrazione comunale di tre anni fa, secondo lo slogan “nessun bambino venga discriminato”.

Il primo pensiero di qualcuno è stato: “Ecco, la nuova giunta ha cancellato tutto!”. Con il sangue freddo che fa arrivare sino in fondo alle questioni, si scopre, con una semplice telefonata, che il funzionario responsabile, con l’umiltà che si confà alle istituzioni serie, ammette un errore materiale e farà recapitare una nota di scuse con la certezza dell’invio delle cartelle corrette. “Peccato – avrà pensato qualche don Chisciotte – la ghiotta occasione per la bagarre è annullata da un gesto di responsabilità”.

Ma un risultato simile domanda un cammino serio onesto e leale dei cittadini come delle istituzioni. A volte si ha la sensazione che i problemi non li si voglia risolvere perché… poi con chi ce la prendiamo?

Ora c’è chi dice che anche quei miseri 500 euro per ciascun allievo iscritto alla scuola paritaria, a fronte degli 8mila che lo Stato spende per gli studenti della scuola statale, non arriveranno. Comprensibile, ma gestibile, l’effetto panico!

Nell’anno scolastico 2015/16 lo Stato ha stanziato, complessivamente, 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria.

È opportuno – alla luce dei dati – scommettere sulla serietà dei cittadini, del Ministero e di tutti gli uffici scolastici preposti a Roma e nelle regioni. È certo che il decreto è stato puntualmente firmato dalla Ministra e inviato alla Corte dei Conti, ma nel frattempo grazie al vizio italiano degli sbarramenti, arriva notizia che manca la copertura.

Ritorna alla Ministra, che lo firma e lo rimanda alla Corte dei Conti. È fuori dubbio che quest’ultima lo registrerà entro mercoledì 5 luglio, che la Ragioneria di Stato ha già i fondi pronti e che, dalla direzione generale romana competente, in 15 gg questi arriveranno agli uffici scolastici regionali già debitamente preavvertiti a distribuirli. Le scuole si facciano trovare pronte con il durc in regola. Al massimo il 5 Agosto i contributi saranno nelle casse per pagare gli stipendi di quei docenti… di serie B!

Da anni si persegue la libertà di scelta delle famiglie. Il decreto “zero sei anni” apre le porte in tal senso. Ma… sarà evidente l’esplicita volontà dei cittadini e delle famiglie, si accorderanno le associazioni e i sindaci? Dove sono i tavoli di lavoro? Lo strumento c’è; ora deve soltanto funzionare.

Sappiamo che gli studenti iscritti alle scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato italiano sei miliardi di euro e che il welfare collasserebbe senza di esse.

Ciò che conta veramente, comunque, è che la famiglia sia libera di scegliere come e dove educare il proprio figlio a costo zero, visto che ha già pagato le tasse. La soluzione è il costo standard di sostenibilità. Non è una chimera. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale 104/2017 il legislatore nel DL 91/2017 all’art. 12 ha normato a livello di fonte primaria il costo standard per studente universitario, sulla cui base deve essere distribuito il fondo di finanziamento ordinario previsto dal Ministero per l’Università. Concettualmente, il passo verso la determinazione del c.s. per la Scuola Pubblica tutta è breve. Non è escluso che – su richiesta delle stesse Associazioni delle Famiglie e delle scuole pubbliche paritarie – si domandi a Regione Lombardia, tanto per fare un esempio a caso, di avocare a sè l’istruzione e il finanziamento. Ben venga, a questo punto. Le famiglie non hanno nulla da perdere, anzi. Qualcuno dovrà pur partire, per dare voce alle alle ragioni del Diritto e anche per concretizzare documenti come quello del Centro Studi della Scuola Cattolica, firmato dalle Associazioni di riferimento. È da qui che dobbiamo ripartire con coraggio e senza individualismi.

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