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Ecco come Trump lavora a un nuovo accordo di libero scambio con il Regno Unito

Dopo il via all’export di manzo e riso statunitensi verso la Cina, il “protezionista” Trump cala il tris. Lunedì 24 luglio l’ambasciatore per il dipartimento del commercio americano Robert Lighthizer e il segretario del commercio internazionale per il Regno Unito Liam Fox si sono incontrati a Washington. Sul tavolo c’è l’avvio dei dialoghi bilaterali per un nuovo accordo di libero scambio fra le due potenze anglofone, sigillato dalla nascita di un gruppo di lavoro USA-UK per il commercio. Gli inglesi, quando mancano ormai meno di due anni all’ultimo termine per salutare definitivamente l’Unione Europea, sono pronti a prendere il testimone del TTIP, il patto di libero scambio fra Washington e Bruxelles arenato ormai da mesi, per porre le basi di un nuovo accordo.

Beninteso, non si tratta di vere negoziazioni, perché ad oggi il Regno Unito, formalmente ancora sotto il controllo delle istituzioni UE, non ha alcuna autorità per negoziare né tantomeno concludere un accordo commerciale con paesi terzi. È però indubbio il peso che avrebbe, una volta archiviata la Brexit, un accordo di libero scambio fra le due sponde dell’Atlantico. Come ha ricordato il segretario britannico Fox nel discorso all’American Enterprise Institute (AEI), non solo “gli Stati Uniti sono il più grande mercato per l’export e il secondo mercato per l’import per il Regno Unito”, ma anche “la prima destinazione per gli investimenti britannici”, che insieme a quelli americani valgono attualmente un totale di circa un triliardo di dollari.

Non è un caso che lo stesso presidente Trump abbia dedicato uno dei suoi tweets all’incontro Fox-Lighthizer: “Stiamo lavorando a un importante accordo commerciale con il Regno Unito. Potrebbe essere veramente grande ed entusiasmante. Posti di lavoro!” twittava il 25 luglio, per poi fulminare Bruxelles: “L’UE è veramente protezionista con gli Stati Uniti. Basta!”. Nei mesi scorsi Fox aveva sondato le reazioni di alcune lobby e organizzazioni interessate. Una serie di riunioni, accusa Global Justice in un rapporto pubblicato di recente, che ha visto il Dipartimento britannico per il Commercio incontrare nel periodo fra ottobre del 2016 e marzo del 2017 esponenti di società come KPMG, GlaxoSmithKlein, gruppi bancari come HSBC e Barclays, ma anche aziende come Caterpillar e lobby come CityUk. In questi incontri, secondo il rapporto, “gli interessi del business hanno rappresentato uno straripante 90,5% di tutti gli incontri di questo periodo”, con grave danno degli interessi della società civile.

Gli incontri preliminari sono appena iniziati, e le opposizioni del governo di Theresa May hanno già sollevato una bufera. Come nel caso dell’accordo fra Stati Uniti e Cina per riportare il manzo USA nel dragone, anche qui sarà il commercio di pollo a fare da pomo della discordia, ma questa volta a parti invertite. Se nel primo caso sono gli americani a contestare la genuinità del pollame cinese a cui l’amministrazione Trump ha aperto le porte, adesso sono i britannici a temere l’arrivo di pollame americano nei supermercati con un nuovo accordo commerciale. Spesso difatti negli Stati Uniti la carne di pollo, prima di essere messa in vendita, viene lavata con il cloro, una pratica severamente vietata in Europa. Voci autorevoli come quella dell’Adam Smith Institute sostengono che questa sia una pratica salutare, in grado di debellare i batteri più aggressivi, e prevenire malattie come la salmonella.

Ma organizzazioni animaliste come la Humane Society of the United States mettono in guardia da questo tipo di trattamento: a loro dire, il lavaggio con il cloro della carne di pollo arriverebbe in una fase finale della lavorazione, quando la carne può aver già contratto batteri che resistono alla depurazione. “Non che il cloro sia assente dalle nostre vite”, commenta il colonnista del Guardian George Monbiot, “lo beviamo tutti i giorni con l’acqua del lavandino”. Il problema risiederebbe nelle pessime condizioni sanitarie degli allevamenti che conseguono a questo trattamento: “lavare le carcasse dei polli con il cloro permette agli allevatori e ai macchinari di risparmiare denaro che spenderebbero nel sistema sanitario durante le fasi di vita e di morte del pollo”.

Ha gettato benzina sul fuoco uno scivolone del segretario del governo May Liam Fox durante un’intervista con la BBC, quando, incalzato dalla giornalista sul possibile nuovo import di polli americani trattati con il cloro, ha risposto che questo trattamento “non pone un problema di salute” e che comunque non è altro se non “un dettaglio dell’ultimissima fase di un settore”. L’infelice uscita ha fatto divampare sui media britannici le polemiche, tanto che James McGrory, direttore esecutivo dell’associazione pro-Europa OpenBritain, ha sfidato il segretario a mangiare in diretta tv a Washington del pollo lavato con il cloro. La sfida, inutile dirlo, non è stata raccolta: durante il suo discorso all’AEI Fox ha rifiutato categoricamente di rispondere a qualsiasi domanda sull’argomento.

L’imbarazzo originato dall’intervista ha comunque obbligato il governo May a una smentita per rassicurare i cittadini britannici: il segretario per l’Ambiente Michael Gove ha sostenuto davanti ai microfoni della BBC che “il Regno Unito non dovrebbe accettare importazioni di polli trattati con il cloro come parte di qualsiasi futuro accordo con gli Stati Uniti”. A prescindere dal destino del commercio bilaterale di pollame, un accordo di libero scambio di ben più grande portata ci sarà fra le due parti. Lo ha confermato il nuovo portavoce della Casa Bianca Anthony Scaramucci, e lo ha fatto con il suo stile un po’ trumpiano che ha convinto il Tycoon a portarlo alla Casa Bianca. Quando la BBC Newsnight gli ha chiesto se Trump intende fare sul serio con l’accordo, ha risposto secco: “al cento per cento. Lui ama il Regno Unito”:

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