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La guerra in Libia del 2011, la posizione di Berlusconi e il ruolo di Napolitano

Sulla partecipazione italiana alla guerra in Libia del 2011 si continuerà a parlare per anni e molte versioni continueranno a essere in contraddizione. Eppure diversi passaggi sono stati documentati. Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano è tornato sull’argomento in un’intervista a Repubblica del 3 agosto ribadendo che l’intervento fu deciso da Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio, e non da lui che era al Quirinale e parla di “visione ridicolmente distorta della realtà”. Gli elementi ricordati da Napolitano sono corretti, ma ne mancano parecchi altri che furono ricostruiti su Panorama nel numero del 5 maggio 2011: 43 giorni di tensione, dal 17 marzo al 25 aprile.

I “CONSIGLI” DI GUERRA

La sera del 17 marzo 2011, esattamente un mese dopo l’inizio della rivolta in Libia e mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu stava definendo la risoluzione 1973 che autorizzava l’intervento, al Teatro dell’Opera di Roma era in programma il Nabucco diretto da Riccardo Muti per i 150 anni dell’unità d’Italia. Quella sera al teatro ci furono due vertici riservati: al primo (ricordato da Napolitano nell’intervista) parteciparono tra gli altri il presidente della Repubblica, Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Bruno Archi: quest’ultimo sosteneva l’intervento in base alla risoluzione dell’Onu e anche Napolitano premeva in questo senso. Nel libro di Alan Friedman del 2015, Berlusconi ricorda che Napolitano “continuava a insistere che dovessimo ‘allinearci con gli altri’ in Europa”. Subito dopo ci fu un altro vertice al quale Berlusconi partecipò solo per pochi istanti: c’erano Gianni Letta, La Russa, il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Biagio Abrate, e quello dell’Aeronautica, generale Giuseppe Bernardis, e si decise per la partecipazione ai raid. Il giorno successivo, però, la contrarietà del presidente del Consiglio e della Lega fermò tutto, tanto che alcuni obiettivi militari assegnati all’Italia furono “passati” agli inglesi.

DAI PRIMI BOMBARDAMENTI A OBAMA

Le prime bombe franco-inglesi furono sganciate alle 17.45 del 19 marzo: quel giorno era in programma a Parigi un vertice al quale Berlusconi andò per cercare di evitare la guerra e dove, si saprà poi, Nicolas Sarkozy aveva comunicato che i suoi aerei erano già in volo. All’arrivo di Berlusconi era in corso un vertice tra Sarkozy, David Cameron e Hillary Clinton. L’Italia non bombardò, ma contribuì da subito con sette basi, con un assetto della Marina guidato dall’incrociatore portaeromobili “Garibaldi” e dalle 23.59 dello stesso 19 marzo mise a disposizione gli aerei, che però effettuarono solo sorvoli. Alla fine di marzo, dopo che la missione Odissey Dawn era diventata Unified Protector con il passaggio alla Nato, Napolitano andò negli Stati Uniti per pochi giorni e al rientro, il 31 marzo, sentì al telefono il presidente americano: Barack Obama gli chiese un impegno diretto dell’Italia e ottenne garanzie in questo senso dal presidente della Repubblica che però, pur se comandante delle Forze armate e presidente del Consiglio supremo di Difesa, non ha poteri esecutivi. Berlusconi, pressato da ogni parte, in quei giorni ripeteva che l’Italia non avrebbe mai bombardato la Libia e, soprattutto, che Obama avrebbe dovuto parlare con lui. Le pressioni della Nato, degli Stati Uniti, del Consiglio di transizione libico e di qualche membro del governo aumentavano, a metà di aprile La Russa incontrò negli Usa il segretario alla Difesa Robert Gates e il colloquio fu tempestoso.

La svolta del 25 aprile

Il 21 aprile gli incursori del Col Moschin si unirono alle forze speciali francesi e britanniche come “addestratori” in Libia, il 22 aprile il presidente della commissione Esteri del Senato americano, John Kerry, incontrò Berlusconi a Palazzo Chigi ed ebbe un ultimatum: Obama doveva chiamare direttamente il presidente del Consiglio o l’Italia non avrebbe mai partecipato. Tre giorni dopo, il 25, Obama fece quella telefonata e la conclusione diplomatica fu che l’Italia era d’accordo sulla necessità di una “pressione supplementare” su Muammar Gheddafi. E’ evidente che la decisione finale, operativa, non potesse che essere del Governo, ma è altrettanto evidente che ci fu un ruolo determinante del Quirinale.

Quella ricostruzione di Panorama non fu mai smentita.

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