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Veneto Banca e Popolare di Vicenza, ecco segreti e misteri di Bruxelles

Banco Popular

Si scopre dalle cronache che i nein della Commissione Ue alla ricapitalizzazione precauzionale delle due banche venete sarebbero dovuti non tanto alla mancanza dell’apporto privato per 1,2 miliardi all’aumento di capitale, ma al fatto che, secondo la DcComp, se non si fossero verificate alcune previsioni del piano presentato dai vertici dei due istituti, nel 2021 sarebbe stato necessario un nuovo aumento fino a 2 miliardi.

Insomma, c’erano dubbi sulla solidità del piano. Ma se le cose stanno così, perché non si è chiesta una revisione dei punti che lasciavano spazio a incertezze? Meglio, perché la direzione, che avrebbe voluto in precedenza modifiche di altri punti, poi apportate, non ha chiesto anche quest’ultima variazione? Come può un organo non preposto al sistema finanziario, ma che deve verificare se concorrenza e libero mercato sono rispettati, quindi se è rispettato il divieto di aiuti di Stato, arrogarsi il potere di tale valutazione, quando si dovrebbe presumere che simili osservazioni non sarebbero state mosse dalla Banca d’Italia e neppure dalla Vigilanza unica?

Nell’intervento di Ignazio Visco all’assemblea dell’Abi del 12 luglio si possono leggere diversi passaggi che autorizzerebbero a ritenere che Palazzo Koch non fosse dello stesso parere ora attribuito a Bruxelles. Non si è in presenza allora, se così è accaduto, di uno sconfinamento di potere da parte della Commissione? Non c’è nulla da rivedere, a questo punto, nel funzionamento delle istituzioni Ue sul settore, al di là della necessaria revisione della Direttiva Brrd?

Il piano era stato redatto, tra gli altri, da Fabrizio Viola (nella foto), noto per competenza e rigore. Se davvero fosse esistito il rischio adombrato, Viola sarebbe stato il primo a indicare come prevenirlo. E il Tesoro che comportamento ha tenuto al riguardo? Non è pensabile che abbia condiviso i dubbi della Direzione. Ma se così è, si è limitato a fare buon viso a cattivo gioco? Servirebbe a questo punto un chiarimento che, se non sarà possibile in altre sedi, non potrà non venire in Commissione d’inchiesta, la cui composizione appare sempre più urgente.

Intanto, in occasione della discussione domani in Senato sulla conversione del decreto di liquidazione delle due venete, la maggioranza confermerebbe la blindatura del testo, il che impedirà che emendamenti opportuni, se non necessari, siano introdotti: in particolare, la previsione del rimborso degli obbligazionisti subordinati che abbiano acquistato i titoli fino al 1° febbraio 2016, anziché al 12 giugno 2014 (data di pubblicazione della Direttiva sul bail-in) e l’ammissione a tale rimborso anche dei titoli acquisiti da banche controllate dalle due in liquidazione.

A questi sarebbe giusto aggiungere una manleva per gli ultimi amministratori dei due istituti che hanno agito con correttezza e rigore, mentre per i responsabili del dissesto sarebbe più che doverosa l’interdizione da pubblici uffici e persone giuridiche private; infine, occorrerebbe ovviare all’attuale mancanza, ai fini della cessione dei crediti deteriorati, della possibilità di concedere in alcuni casi anche dei prestiti nella quasi certezza che così si agevoli il ritorno in bonis di questi prestiti. Tutto militerebbe per apportare tali modifiche. Ma razionalità e buon senso sembrano sfuggiti a chi ha di mira interessi elettorali e pensa di quieta non movere sulle quattro banche poste in risoluzione, alle quali pure si applicherebbe la norma sull’interdizione.

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