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La Libia, l’Italia e i trambusti di Serraj e Haftar

Fayez Serraj, Libia, trenta

Venerdì uno dei membri del Consiglio presidenziale (PC), organo politico temporaneo del processo di pacificazione libica voluto dall’Onu, ha attaccato la presenza militare italiana in Libia. La “Comandante Borsini” è alla base navale di Abu Setta per via di un accordo che il capo del Consiglio presidenziale stesso, il premier che le Nazioni Unite vorrebbero unificasse il paese, Fayez Serraj, aveva stretto con l’Italia la scorsa settimana – me era in discussione da mesi – per il controllo delle coste al fine di bloccare i flussi migratori illegali.

L’ATTACCO DI MAJBURI

Fathi Majburi, che nel PC è uno dei quattro vice di Serraj, ha scritto in un comunicato che la presenza italiana “non esprime le volontà del Consiglio” e che si tratta di una “violazione della sovranità libica” e fa appello all’Onu (dicendo che la nave italiana in Libia viola lo spirito dell’accordo di riconciliazione), alla Lega araba e all’Unione africana perché mettano fine a questo “nuovo tentativo di occupazione” – il richiamo propagandistico scivola sempre facilmente verso il periodo coloniale quando in Libia si parla di Italia.

CHI È MAJBURI

Per contestualizzare questa denuncia occorre sottolineare che Majburi non è il più rappresentativo dei nove membri del PC. È stato nominato per tutelare gli interessi della milizia del petrolio, che fino a qualche tempo fa teneva in ostaggio alcuni pozzi, ora tornati in mano alla società statale Noc – e Ibrahim Jadran, ex potente capo della milizia è fuggito dal paese. Una fonte diplomatica contattata da Vincenzo Nigro di Repubblica dice che “il consigliere è molto critico con Serraj, sostiene di non essere consultato abbastanza dal presidente, è alla ricerca di più visibilità”. La Farnesina bolla queste dichiarazioni come “dibattito politico interno” legittimo e rispettato da Roma, e sottolinea che comunque tutte le operazioni successive saranno concordate via via con il PC. Al momento il pattugliatore Borsini è lì solo per fare un elenco di ciò che serve alle motovedette di Serraj per controllare le coste.

L’ACCORDO TRABALLANTE

È comunque un altro segno significativo di quanto sia traballante l’accordo Roma-Tripol, sostanzialmente perché chiuso con un leader che ha un futuro delicato e un controllo incerto sul potere. Serraj vede ad Est l’opposizione di chi al processo di ricongiungimento onusiano non ha mai accettato di partecipare. Là, il generale che tiene anche il comando politico col sostegno di alcuni attori esterni come Egitto ed Emirati Arabi (e Russia e in parte Francia), Khalifa Haftar, ha già dichiarato che le navi italiane che solcheranno i mari libici in virtù dell’accordo con Serraj sono da considerarsi potenziali obiettivi per la milizia che comanda (quella che ha la pretesa di farsi chiamare “Esercito nazionale”).

UN LEADER DEBOLE

E mentre Haftar viene rapidamente meno alla stretta di mano con Serraj sotto gli scatti dei fotografi dopo l’incontro parigino di una decina di giorni fa, anche da Ovest continuano i problemi per Serraj. Majburi segue una linea populista che però ha appeal tra il nazionalismo libico. Venerdì sera una cinquantina di fanatici era in strada a Tripoli a oltraggiare la bandiera italiana; i gruppi islamisti tripolini che non hanno accettato il processo Onu hanno alzato la chiamata propagandistica di un jihad contro gli italiani; e nemmeno i misuratini, che sono il blocco politico/militare più forte a sostegno di Serraj, non hanno troppo gradito le ultime iniziative prese dal wannabe-premier, in particolare l’incontro a Parigi col detestato Haftar.

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