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Libia, ecco perché per stroncare i traffici bisogna aiutare il Fezzan

Se un ragazzo che abita nel sud della Libia preferisce lavorare per i trafficanti anziché studiare, se il petrolio viene contrabbandato e l’agricoltura non è sfruttata al meglio, non ci si deve stupire se un’area enorme e quasi desertica è da sempre in mano a bande criminali che da lì fanno passare le centinaia di migliaia di persone che abbandonano la propria terra per cercare fortuna altrove e il cui primo approdo è l’Italia.

LA PARTITA SI GIOCA NEL FEZZAN

La Libia meridionale, l’enorme e quasi desertica regione del Fezzan, è l’area attraversata dalle rotte dei trafficanti di esseri umani e, soprattutto dopo le sconfitte militari nel teatro siro-iracheno, a rischio di infiltrazione di terroristi. Il ministro Marco Minniti l’ha definita “la frontiera sud dell’Europa” ed è proprio questo il titolo dell’ultimo report dell’International Crisis Group. Senza controlli ai confini meridionali con Niger e Ciad, i trafficanti seguono rotte diverse se trasportano migranti oppure droga e armi contando su complicità locali: il traffico di esseri umani genera ogni anno guadagni tra un miliardo e un miliardo e mezzo di dollari diviso tra le varie tribù, a cominciare da Tebu, Tuareg, Awland Suleiman e Warfallah. Considerando l’insieme delle voci, il contrabbando durante il regime di Muammar Gheddafi valeva il 40 per cento dell’economia locale, oggi vale il 90 per cento. “Il contrabbando qui è un lavoro, non un crimine”, ha detto un politico e docente universitario locale all’Icg, ed è per questo che l’Italia e l’Europa devono aiutare quelle popolazioni offrendo uno sviluppo economico alternativo.

MEGLIO I SOLDI DELLO STUDIO

Sebha, 200mila abitanti, è da anni il centro nevralgico del traffico di esseri umani. Un ragazzo che decide di fare da autista può guadagnare da 125 a 190 dollari per ogni viaggio dal confine fino a Sebha: in un mese arriva così ad almeno 500 dollari, pari a quattro mensilità dello stipendio di un poliziotto. Ma chi è proprietario di un’auto guadagna per ogni viaggio 3.750 dollari: un’auto costa 10.000 dollari e l’investimento è decisamente produttivo. Ecco perché molti giovani, per esempio della tribù Tebu, decidono di lasciare gli studi dedicandosi al traffico e, grazie alla disponibilità di denaro, al consumo di droghe. Pochissimi quelli che invece vanno all’università. Nel report dell’Icg si quantifica inoltre in 2 miliardi di dollari l’anno il profitto del contrabbando di petrolio: al mercato nero un litro di carburante costa 2 centesimi di dollaro e i confinanti meridionali della Libia lo acquistano a un dollaro. Il mercato è controllato dai proprietari delle stazioni di rifornimento.

LE POTENZIALITÀ DELL’AGRICOLTURA

Il venir meno di un controllo governativo e l’aumento del contrabbando hanno quasi distrutto l’economia della Libia meridionale. Per decenni e fino al 2011 erano fiorenti aziende agricole statali, grazie a sorgenti sotterranee e a tecnologia americana per l’irrigazione. Il capo di una tra le più grandi di queste aziende ha spiegato all’Icg che nel 2010 fatturava 25 milioni di dollari, aveva 250 addetti, 120 campi di grano, 6mila ettari di terra coltivata, 15mila pecore, 500 mucche e 300 cammelli. Quest’anno ha solo 300 ettari coltivati e 1.000 pecore.

UN’AREA ESTESA COME LA FRANCIA

Il caos libico ha reso il Fezzan “terreno fertile per l’infiltrazione di gruppi terroristici attivi nel Sahel, tra tutti il network di al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e al Mourabitoun” scrive Lorenzo Marinone del Cesi, Centro studi internazionali, nel report sul ruolo del Fezzan nella crisi libica per l’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento. Nell’area vanno considerati due elementi: il controllo del territorio da parte delle varie tribù e l’influenza che cercano di esercitare il governo di Tripoli e il Parlamento di Tobruk. Tuareg e Tobu sono rivali da sempre, tranne un’alleanza anti Gheddafi nel 2011. La perenne instabilità, scrive il Cesi, ha favorito nell’area desertica intorno alla città di Awbari l’infiltrazione di gruppi terroristici. Attenzione però alla strategia da seguire: “La miopia di tentare di sigillare il confine con un approccio esclusivamente securitario – si legge nel report – non potrebbe avere altro risultato se non incentivare le popolazioni locali a stringere ulteriori accordi con i network criminali e le formazioni terroristiche presenti nella zona. Inoltre, così s’impedirebbe non solo che si possa ricostituire un qualche legame di fiducia tra le tribù locali e future istituzioni centrali libiche, ma si andrebbe ad acuire ancora di più lo scollamento tra le prime e le municipalità del Fezzan”.

LE DIVERSITÀ TRA ITALIA, FRANCIA E STATI UNITI

La Francia ha la base militare di Madama al nord del Niger e gli americani ne hanno una nell’area di al Wigh sul lato libico. L’obiettivo di entrambi è in funzione antiterrorismo (su questo, per esempio, gli americani collaborano stabilmente con le forze speciali italiane). Al contrario l’Italia, si legge nel report del Cesi, “si è fatta promotrice di un accordo di pacificazione tra le tribù del Fezzan e sta contemporaneamente aumentando il coordinamento sia con le principali municipalità locali, sia con il Governo di accordo nazionale” di Tripoli. La volontà italiana di riconoscere un ruolo al generale Khalifa Haftar (al netto delle provocazioni sulla missione navale) sarà ancora più importante per arrivare a una mediazione tra le tribù del Fezzan. Certamente decisivo sarà il ruolo dei sindaci di quella regione, attesi a Roma da Minniti alla fine di agosto per un’ulteriore messa a punto della collaborazione già avviata nell’incontro del 13 luglio.

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