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Ecco come Malta chiude i porti ai migranti

Migranti migrazione

C’è un’isola nel Mediterraneo, a soli 90 chilometri dalle coste siciliane e a 170 chilometri da Lampedusa, dove il tempo sembra non scorrere. “Un’isola che non c’è”, per rubare il titolo di una famosa canzone di Edoardo Bennato. Si tratta di Malta, Stato sovrano e indipendente, uno dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea. Mentre i porti di Lampedusa, Augusta, Catania, Pozzallo, Palermo, Reggio Calabria vivono in prima linea il fenomeno migratorio, con sbarchi record dal 2017, nel porto maltese di La Valletta regna la quiete.

Non più di quaranta: a tanto ammonterebbe la quota di migranti che sono arrivati via mare sulla piccola isola-Stato nel 2017. Lo ha confermato il senior official del ministero dell’Interno maltese Joseph St. John alla giornalista Francesca Biagiotti, in un servizio da Malta per il programma di La7 “In Onda” condotto da Luca Telese e David Parenzo.

“Secondo i maltesi le domande di asilo non sono molte di meno rispetto all’anno scorso” spiega la giornalista a Formiche.net, “è cambiata la tipologia di persone che arrivano: sono più abbienti, giungono via aereo soprattutto dalla Libia e dalla Siria”. Ciò che è calato drasticamente negli ultimi anni sono gli sbarchi via mare: il servizio di In Onda riprende le navi della guardia costiera maltese tornare in porto vuote. Uno sguardo ai numeri sul sito dell’Unhcr maltese dà un’idea del fenomeno: gli arrivi via mare, che avevano subito un picco nel 2008 (2775) e nel 2013 (2008), sono letteralmente evaporati dal 2014, con un minimo di 23 migranti accolti a La Valletta nel 2016.

O meglio, negli ultimi due anni ci sono stati degli sbarchi, ma quasi sempre si trattava di cadaveri. Fu quel che accadde il 19 aprile del 2015, quando il peggior naufragio degli ultimi anni lasciò senza vita più di 700 persone. I 27 superstiti furono trasportati nel porto più sicuro nei paraggi, quello di La Valletta: Malta acconsentì a prendersi cura dei cadaveri, ma non dei migranti in vita, che dovettero subito far rotta per l’Italia. Non è un caso che dei fondi europei per l’emergenza migratoria, secondo i dati del ministero dell’Interno maltese, l’unico che Malta co-finanziò nel 2015 (20169,24 euro su un totale di 80672.96 euro) fu il fondo destinato al “carico dei corpi dei migranti morti nel Mediterraneo”.

Ci sono poi due cavilli giuridici a cui Malta si aggrappa per giustificare l’assenza dalle operazioni di salvataggio. Il primo risale alla Conferenza IMO di Valencia del 1995, quando l’Italia con un memorandum of understanding fu il primo Stato a delimitare, assieme agli altri paesi che si affacciano sul “mare nostrum”, la propria zona SAR. Solo Malta si rifiutò, pretendendo che la propria zona SAR coincidesse con la Flight Information Region (FIR) maltese, che si sovrappone a Nord e Ovest con la SAR zone italiana.

Così oggi vige un paradosso: Malta reclama una zona SAR vastissima che non riesce a controllare perché priva di navi adeguate, e lascia alla guardia costiera italiana l’onere delle operazioni di salvataggio. Una realtà che la Biagiotti conferma a Formiche.net: “Siccome c’è questa ambiguità nei mari territoriali, ci sono moltissime controversie fra le autorità italiane e quelle maltesi, che lasciano passare le navi attraverso la loro area di competenza senza intervenire”.

Il secondo punto lo ha messo in luce il contrammiraglio Nicola Carlone riferendo alla Commissione Schengen il 3 maggio: Malta è l’unica nazione europea che non ha ratificato gli emendamenti del 2004 alle convenzioni SOLAS (1974) e SAR (1979) relativi alla determinazione del luogo sicuro di sbarco. Carlone spiegava che “essendo l’area SAR maltese la prima che incontra i flussi provenienti dalla Libia […] il piccolo Stato di Malta avrebbe corso il rischio di trovarsi da solo di fronte ad un fenomeno di carattere epocale e ormai divenuto strutturale”.

Se l’accesso via mare è dunque bloccato, molti (relativamente) sono gli immigrati che giungono sull’isola in aereo. Nel 2017 (dati UNHCR) solo il 9,9% delle richieste di asilo dei rifugiati sono state respinte. Si tratta in prevalenza di siriani, ma anche di eritrei, somali, libici e iracheni. Sull’isola ci sono diversi centri di accoglienza, il più grande quello di Hal Far, cui l’Italia ha donato una serie di container. Le condizioni igieniche dei centri sono state in passato oggetto di polemiche da parte di associazioni locali, come la maltese Jesus Refugee Service.

La Biagiotti rileva però un fatto curioso: dei migranti presenti sull’isola, la maggior parte è giunta illegalmente dall’Italia. “Una volta ottenuto il permesso di soggiorno volano a Malta, che ha un bisogno di manodopera altissimo, perché ci sono moltissimi nuovi palazzi in costruzione” ci spiega al telefono, “possono stare legalmente a Malta per tre mesi, dopodiché divengono clandestini”. Non trovando lavoro in Italia, si trasferiscono sull’isola: peccato che qui divengono facile preda del capolarato locale, lavorando (in nero) in cantiere tutta la giornata per 4-5 euro l’ora.

Così i pochi migranti che riescono a sopravvivere al business dei trafficanti di umani approdando in Italia, una volta trasferiti a Malta trovano una nuova forma di schiavitù. C’è solo una nave che fa base fissa dal porto di La Valletta e prende il largo per salvarli in mare: è quella dell’ong maltese MOAS, fondata dai coniugi Catrambone, ricchi imprenditori del ramo assicurativo in zone di guerra.

MOAS, ne avevamo discusso su Formiche.net con l’inviato di Piazza Pulita Antonino Monteleone, era finita nel mirino del magistrato Carmelo Zuccaro per delle falle (presunte) nella trasparenza finanziaria. Oggi ha allontanato ogni sospetto prendendo le distanze dalle “ong ribelli” alle autorità italiane, essendo l’unica assieme a Save The Children ad aver firmato il codice di condotta del Viminale.

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