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Gli show of force americani contro il Nord che innervosiscono Pechino

Domenica 30 luglio dal portellone di un grande aereo da trasporto americano C-17 è stato sganciato un falso missile balistico sopra l’Alaska per testare il Terminal High Altitude Area Defense, più noto come THAAD. L’esercitazione era già in programma, ma ha coinciso con un altro test, l’ennesimo, di un missile nordcoreano e siccome il sistema d’intercettazione americano è stato schierato in Corea del Sud come difesa da un eventuale attacco di Pyongyang le due cose si sovrappongono inevitabilmente.

A Soseong-ri si guarda più alla destabilizzazione che il THAAD comporta che si suoi reali benefici, però. Dal remoto paesino sudcoreano partono le proteste di coloro che vedono la batteria americana (e le altre in arrivo) come un peso sulla crisi. C’è chi ne fa una ragione Nimby, chi ambientalista, chi nazionalista, chi pacifista, chi strategica. L’ultimo (ça va sans dire) è l’aspetto più interessante: sabato 5 agosto, mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvava all’unanimità le nuove sanzioni contro Pyongyang, l’ambasciatore cinese Liu Jieyi ha preso la parola e detto che “il dispiegamento del sistema THAAD non porterà una soluzione alla questione dei test nucleari” nordcoreani.

IL DOPPIO CONGELAMENTO

Jieyi ha chiesto di “cessare di intraprendere azioni che potrebbero aumentare ulteriormente le tensioni”, e qui sta (anche) il punto della situazione. Pechino ha esplicitamente chiesto, sia con l’ambasciatore all’Onu si il giorno successivo tramite il ministro degli Esteri (durante una conferenza stampa dal summit ASEAN), che gli americani e i sudcoreani fermino le proprie azioni congiunte. La chiamano “strategia del doppio congelamento”, ossia: il Nord congela il suo programma nucleare, il Sud congela il flirt militarista con l’America. È un interesse strategico cinese: per Pechino il THAAD è il simbolo di un’impronta americana nella regione (con interessi specifici: i radar del sistema potrebbero essere usati come arma di spionaggio). E la Cina non vuole gli Stati Uniti tra i piedi. La partita è ampia, e si estende fino al Mar Cinese.

PECHINO INNERVOSITO

Sempre domenica, per esempio, 30 luglio hanno nuovamente sfilato sul bordo dei cieli del Nord due bombardieri strategici B-1 (potenzialmente armati con ordigni nucleari) scortati da altrettanti caccia F-2 giapponesi. I Lancer sono decollati dalla base americana a Guam, sono saliti verso il mar delle Filippine e scavalcato le acque del Mar Cinese Meridionale: è una rotta che altri aerei, da osservazione diciamo, compiono spesso (talvolta virando a ovest) per buttare un occhio sui progressi cinesi nell’area.

È questo genere di show of force che innervosisce la Cina, che ricorda sommessamente – e a ragione – che non sono nemmeno utili per bloccare le ambizioni di Kim Jong-un. Pechino vuole un approccio americano meno invasivo, e forse, come ricordava Henry Kissinger, vuole la sicurezza che la Corea del Nord, con o senza Kim, sarà sempre un affare cinese.

 

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