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Ecco come in Germania il Dieselgate agita le acque politiche ed elettorali

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Mentre Angela Merkel si gode ancora le vacanze, la campagna per le elezioni del 24 settembre prossimo è in pieno svolgimento. E grazie allo scandalo sulle emissioni truccate da parte dei grandi marchi automobilistici tedeschi, anche i Verdi potrebbero aver trovato un cavallo di battaglia sul quale puntare per scrollarsi di dosso quel 7 per cento al quale da tempo sono inchiodati. Perché non sono solo i socialdemocratici (nel frattempo scesi al 23 per cento, mentre Unione, cioè Cdu e Csu, viaggia al 38%) a soffrire di una Kanzlerin da tempo spostata sulle loro tematiche sociali, ma anche il partito nato a suo tempo con obiettivi innanzitutto ambientalisti. Non va dimenticato, infatti, che il primo incarico di governo che il cancelliere Helmut Kohl affidò a Merkel a suo tempo fu quello di ministra dell’Ambiente.

E’ l’editorialista di punta della Süddeutsche Zeitung Heribert Prantl a scrivere che lo scandalo delle emissioni truccate è ormai diventato politico e dunque perfettamente spendibile in campagna elettorale. Uno scandalo più lungo della questione dei migranti esplosa tra l’estate e l’autunno del 2015.

Sempre quell’autunno, l’amministrazione Usa rendeva nota la truffa di Volkswagen, che nei modelli diesel aveva impiantato software per truccare le emissioni in fase di controllo. Volkswagen però non è stata l’unica azienda tedesca, come si è saputo nel frattempo: anche le altre grandi, tra cui Bmw e Daimler, sono ricorse allo stesso trucco. Da qui il vertice indetto mercoledì scorso a Berlino dal ministro per le Infrastrutture e il Trasporto, il cristiano-sociale Alexander Dobrindt. Erano presenti i grandi capi di Vw, Bmw e Daimler. Alla fine dell’incontro gli amministratori delegati delle tre industrie si sono dichiarati disponibili a dotare complessivamente 5 milioni di autovetture di nuovi software che misureranno l’esatta quantità di emissioni.

Il ceo di Daimler Dieter Zetsche e quello di Bmw Harald Krüger hanno invece detto di no a un’eventuale modifica dell’hardware, che a loro avviso non porterebbe comunque a miglioramenti significativi. Un’affermazione contestata dall’Adac (l’Automobilclub tedesco), il quale faceva sapere all’indomani dell’incontro, che l’apporto di nuovi hardware, riuscirebbe a ridurre le emissioni non solo del 25%  (il valore indicato dai produttori e che equivarrebbe all’abbattimento ottenuto con il divieto di circolazione di queste vetture), ma addirittura del 90. Solo che le modifiche risulterebbero molto più onerose per le case produttrici e comunque non sarebbero applicabili ai modelli più vecchi. Dobrindt si è mostrato soddisfatto dell’esito, dichiarando che il vertice ha scongiurato il divieto di circolazione per alcuni modelli.

Una soddisfazione a dire il vero durata poco, visto che già ha dovuto prendere atto dell’ennesimo software illegale. Questa volta impiantato nel Porsche Cayenne Diesel, prodotto dalla consociata di Vw. Di questo modello in Europa sarebbero in circolazione 22 mila vettura di cui 7500 in Germania, ora tutte da richiamare in officina. Oltre al divieto di immatricolazione di nuove vetture di questo modello finché non vi sarà un software in linea con la normativa vigente.

Quello del software non è però l’unico scandalo nel quale si trova coinvolta l’industria automobilistica tedesca. Secondo quanto rivelava lo Spiegel in luglio, Vw, Audi, Porsche Bmw e Daimler avrebbero costituito già negli anni novanta un cartello per mettersi d’accordo e aggiornarsi reciprocamente su tecnologie, innovazioni, mercati, strategie ed emissioni. Secondo quanto trapelato dalle sedi competenti, Vw e Daimler si sarebbero già autodenunciate. Il che, stando a quanto scrive Die Zeit online, potrebbe valer loro ammende meno onerose e, nel migliore dei casi, anche nessuna multa. In quest’ultimo caso dovrebbe essere però provato che gli accordi fossero a beneficio del compratore (cosa rarissima).

L’arma in pugno ai Verdi, scrive Prantl, è costituita dal fatto che i partiti Cdu e Csu si sono sempre mostrati molto “comprensivi” verso l’industria automobilistica nazionale, mentre il ministro Dobrindt fino a oggi non solo ha cercato di minimizzare tutta la vicenda, ma non ha fino a oggi nemmeno provveduto a citare Vw in giudizio.
Il tema si presta come cavallo di battaglia, prosegue l’editorialista, perché milioni di tedeschi si sentono presi in giro, peggio truffati. Certo, si tratta di una rabbia e di un risentimento che nasconde anche una responsabilità in solido, quella della mania del suv da cui anche i tedeschi sono affetti.

Infine, domenica la Bild am Sonntag rivelava che il governatore socialdemocratico della Bassa Sassonia Stephan Weil, nell’autunno del 2015, cioè poco dopo la notizia delle emissioni truccate, avrebbe tenuto un discorso sull’importanza dell’industria automobilistica per la regione (che di Vw detiene il 20,2 per cento e ha diritto di veto) e che lo avrebbe fatto rivedere per eventuali modifiche prima dai vertici della stessa Volkswagen.Una notizia che s sta rilevando falsa, ma che potrebbe avere comunque un effetto dirompente, visto che questo Land andrà a elezioni anticipate (probabilmente il 24 di settembre).

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