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Ricordando Theodor W. Adorno

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Ogni giorno si può celebrare l’anniversario di qualcuno o di qualcosa. Per questo sarebbe auspicabile una memoria selettiva. Tuttavia, il quarantottesimo anniversario della morte di Theodor W. Adorno (6 agosto 1969) una menzione la merita. Allora la Scuola di Francoforte, in cui svettava la sua figura, sembrava una medicina salutare per i malanni del marxismo. Molti intellettuali di sinistra, di formazione umanistica e refrattari all’ortodossia leninista dei gruppuscoli, erano attratti dalla teorie sulla personalità autoritaria e dalla critica della cultura di massa elaborate dal consigliere musicale di Thomas Mann. Riletti oggi, libri come la Dialettica dell’illuminismo e la Dialettica negativa ci ricordano il grande inganno di cui fu vittima e – insieme – artefice la generazione sessantottina dei bisogni e dei desideri, del rifiuto del lavoro e del disprezzo del merito, di Woodstock e della disobbedienza civile. Il grande inganno nascosto nella demonizzazione della società dei consumi, vista come strumento di corruzione e di repressione delle coscienze, manovrato da un insondabile e inafferrabile Dominio.

Sappiamo come sono andate le cose. Dopo il proclama di Walter Benjamin, assai di moda in quegli anni (“È solo a favore dei disperati che ci è data la speranza”), il progetto dei francofortesi fallì perché contrapponeva una sorta di narcisismo ludico-estetico alla dura realtà della politica e del mercato. In altri temini, fallì perché ai disperati offriva – per dirla con Antonio Gramsci – solo un fumoso “sovversivismo dall’alto”. La stessa sorte potrebbe oggi capitare a chi si ostinasse a offrire solo un “riformismo dall’alto”, nell’illusione che sistema elettorale e ingegneria istituzionale possano magicamente surrogare la partecipazione responsabile dei cittadini alla vita politica di una nazione.

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Secondo il grande storico francese Jacques Le Goff (La civiltà dell’Occidente medievale, Einaudi, 2013), il Medioevo è l’epoca in cui il vino – insieme alla cervogia, antenata della birra – si afferma come la bevanda prediletta dalle classi dirigenti (aristocratiche e borghesi) del Vecchio continente. La domanda è allora questa: dopo molti secoli di bevute, il Fiscal compact dipende da un eccesso di elitismo o di etilismo delle leadership europee?

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