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Tutti gli exploit delle imprese avviate da immigrati in Italia. Report Intesa

Unicredit

L’italiano perde, lo straniero vince. Se il tema è l’impresa, s’intende. La crisi globale che l’Italia sta provando a lasciarsi alle spalle ha rimescolato le carte dell’industria, disegnando ex novo il perimetro dell’impresa. La prova? E’ nell’ultimo report (qui il documento) appena sfornato da Intesa Sanpaolo denominato Imprenditoria straniera in Italia: differenze nei modelli organizzativi e nelle performance e dedicato ai migranti che avviano un’attività in Italia.

PIU’ STRANIERI, MENO ITALIANI

Il primo dato che salta all’occhio è quello relativo all’incremento delle imprese avviate da immigrati in Italia negli anni della crisi, tra il 2011 e il 2015. Un’impennata del 21,3% che ha fatto dell’Italia terra di conquista per i migranti imprenditori, ad oggi rappresentativi del 9,1% del totale imprese attive in Italia. Di contro, spiegano gli esperti di Ca’ de Sass, le imprese a guida italiana sono calate del 2,9% nel medesimo periodo. Dunque, pare proprio che gli stranieri impiantati in Italia siano immuni, o quasi, dalla crisi. Perchè?

QUESTIONE DI VENDITE

Un successo quello degli stranieri in Italia che dipende anche e soprattutto dalla loro capacità di reagire alla crisi, ad esempio aumentando le vendite. In pratica, analizzando un campione di oltre 135 mila imprese del manifatturiero e di alcuni servizi più aperti al mercato (alloggio e ristorazione, servizi alle imprese, Ict, trasporti e logistica) è emerso come a fronte di una contrazione dei consumi, le vendite di prodotti da imprese straniere siano aumentate. “L’insieme delle evidenze disponibili mostra, in sintesi, che durante gli anni della grande recessione l’imprenditoria straniera ha assunto un ruolo e un peso relativo di importanza crescente, contrastando il ridimensionamento dei tassi di natalità delle imprese autoctone e ampliando e diversificando l’offerta di prodotti e servizi”, si legge. Non è tutto.

TRA EFFICIENZA ED EXPORT

I fattori alla base di tale trend non si esauriscono qui. Le imprese straniere registrano per esempio un’elevata efficienza produttiva, evidenziando un tasso di rotazione del capitale investito (il quale esprime la capacità del capitale investito di trasformarsi in ricavi di vendita) decisamente superiore a quello delle imprese italiane in tutte le dimensioni e in tutti i settori analizzati. Le imprese straniere mostrano inoltre una propensione più elevata delle imprese italiane a sviluppare attività di export e a registrare marchi internazionali di proprietà. Senza considerare che il costo del lavoro per addetto nelle imprese straniere risulta sensibilmente inferiore rispetto a quello delle imprese italiane (rispettivamente circa 21 mila euro annui contro circa 30 mila). “In prospettiva”, si legge, “questi elementi possono diventare leve di ulteriore differenziazione e fattori in grado di agevolare la crescita dimensionale”.

I NUMERI DEL SORPASSO

Il tutto si traduce ovviamente in cifre da record dal confronto tra imprese italiane e straniere ben evidenziate da Intesa: +17,7% contro il +10,1% per quanto riguarda le vendite, +26,6% contro +14,2% in relazione all’occupazione e +37,0% contro +19,5% per quanto riguarda il totale attivo. “Un ulteriore elemento di differenziazione è rappresentato dall’evoluzione della composizione della governance societaria. Infatti accanto ad una proprietà sostanzialmente omogenea sul piano della nazionalità di provenienza, è stata osservata la diffusione di compagini societarie eterogenee, caratterizzate dalla presenza di soci italiani o di nazionalità non co-etnica”.

UNA MAPPA

Per quanto riguarda il dislocamento geografico,  gli imprenditori stranieri in Italia provengono soprattutto dall’Est Europa (37,7%) e dall’Asia (32,8%), il 15,6% proviene dall’Africa, il 13,9% dall’America Latina. Ma dove vanno ad aprire la loro impresa? “La demografia presenta un andamento sostanzialmente uniforme a livello geografico”, spiega il report Intesa. “I tassi di natalità di imprese straniere risultano relativamente simili nelle diverse circoscrizioni territoriali –con valori massimi nel Sud e Isole (+27,2%), e minimi nel Nord Est (+14,3%) – con variazioni apparentemente poco correlate con la demografia delle imprese italiane”.

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