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Intesa Sanpaolo, Rosneft e il risiko del gas fra Russia, Egitto e Qatar

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Diverse banche di quelle invitate da Intesa Sanpaolo alla sindacazione del prestito che il gruppo fornirà a Glencore e Qia (il fondo sovrano qatariata) per l’acquisto del 19,5 della russa petrolifera Rosneft, avrebbero congelato la propria posizione in attesa di capire meglio l’applicazione delle nuova sanzioni americane alla Russia.

I RISCHI? ZOHR

Le implicazioni delle misure sanzionatorie americane sono ancora da comprendere, comunque per le società europee dovrebbero esserci delle misure di salvaguardia fortemente volute dall’Ue. D’altronde ci sono in ballo situazioni strategiche profonde, per esempio il Nord Stream che interessa a Berlino, o le evoluzioni del pozzo Zohr nel Mediterraneo. L’italiana Eni ha ceduto il 30 per cento delle quote di gestione a Rosneft, un accordo arrivato a pochi giorni dall’annuncio della privatizzazione del gigante russo. Da considerare in questo il ruolo di Qatar e Glencore: la società anglo-svizzera è leader mondiale nel commercio delle materie prime, mentre Doha è il più grande produttore di Lng. Prendere Rosneft, azionista in Zohr, è un’importante mossa strategica per il Qatar, che si ritroverebbe dentro alle dinamiche del più importante giacimento del Mediterraneo, ossia allunga le mani su un elemento di competizione ai reservoir qatarioti.

LA CRISI NEL GOLFO

Tra le motivazioni che hanno stoppato la sindacazione, diverse banche hanno anche parlato della crisi tra Qatar e paesi del Golfo. L’interruzione dei rapporti diplomatici è un elemento di preoccupazione, perché Doha ha bisogno del passaggio di Suez per far arrivare il gas in Europa (e dunque per restare ricca e in grado di sostenere i propri investimenti globali). E l’Egitto è uno dei paesi che ha imposto l’isolamento al Qatar. Zohr è nelle acque egiziane, ma in questo momento Mosca è l’alleato chiave del Cairo, e questo è un elemento di stabilizzazione – una settimana fa gli Stati Uniti hanno invece interrotto un programma di aiuti, anche militari, all’Egitto.

LE SANZIONI, L’ECONOMIA RUSSA… 

Approvate a inizio agosto, le misure di punizione a Mosca per le interferenze durante le elezioni e per la presa della Crimea sono un segno rilevante sul momentaneo annientamento de facto delle visioni che il presidente Donald Trump aveva espresso durante la campagna elettorale a proposito del rapporto con la Russia. Colpiscono il comparto energetico russo, che ha collegamenti geopolitici espansi quanto la geografia nazionale, e che rappresenta un pilastro fondamentale dell’economia; complicare a ditte esterne di lavorare con le controparti russe del settore significa teoricamente colpire l’intero sistema economico russo.

… E L’AMERICA FIRST

Ma allo stesso tempo queste sanzioni possono anche essere trovare una mossa America First come bilanciamento, e forse dietro a questo si nasconde il semaforo verde dato dal presidente Trump, comunque costretto dalle dinamiche congressuali bipartisan che hanno portato all’approvazione delle leggi. I colpi che aziende come Rosneft potrebbero subire sono una spinta per le aziende americane che vedono l’avventura di vendere il gas di scisto come Gnl via nave nel mondo allo stadio iniziale. Scrive Fortune: “Qual è il punto delle ultime sanzioni statunitensi sulla Russia? A) Contenere Vladimir Putin? B) Contenere Donald Trump? o C) Spingere il gas naturale russo fuori dal mercato energetico dell’Europa per far entrare il gas americano? Il Congresso può dire A (e pensare B), ma gli europei sono furiosi perché credono C)”. Al momento i prezzi del gas americano non sono competitivi, ma tutto può cambiare se la minaccia delle sanzioni rende troppo rischioso lavorare con la Russia. E le problematiche ad ampio spettro che il prestito di Intesa sta incontrando sono rappresentative della situazione.

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