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Così Trump minaccia il Venezuela di Maduro

È una settimana di parole al vetriolo quella del presidente americano Donald Trump. Ieri, in una conferenza stampa insieme al segretario di Stato Rex Tillerson e l’ambasciatrice americana all’ONU Nikki Haley dal Trump National Golf Club in New Jersey, Trump ha ribadito la sua promessa di “fuoco e furia” sulla Nord Corea qualora continuassero le minacce di Kim Jong-un, ma non ha risparmiato minacce anche al regime venezuelano di Nicolás Maduro. “Il Venezuela è un disastro. È un disastro molto pericoloso e una situazione molto triste” ha commentato il presidente davanti ai giornalisti, “abbiamo truppe dispiegate in ogni parte del mondo, anche molto lontano. Il Venezuela non è molto lontano e le persone stanno soffrendo e morendo”.

Poi la frase che in queste ore sta creando scompiglio al Pentagono e nelle cancellerie estere: “Abbiamo molte opzioni per il Venezuela inclusa una possibile azione militare se necessario”. Incalzato dalle domande dei cronisti, Trump ha ribadito: “Un’operazione militare è certamente qualcosa che potremmo portare a termine”. Le dichiarazioni del presidente sono sembrate una risposta alle recenti provocazioni di Maduro, che aveva dato disposizione al cancelliere Jorge Arreaza di combinare un incontro con Trump “testa a testa” nelle prossime settimane. “Io sto qui Donald Trump, se è tanto interessato al Venezuela io sono qui disposto a dialogare” aveva tuonato giovedì davanti all’Assemblea Costituente dall’emiciclo del Palazzo Legislativo Federale.

Le esternazioni di Trump dal New Jersey hanno causato un’immediata reazione del Pentagono, che ha chiarito come ad oggi non abbia ricevuto indicazioni per una simile operazione. Ieri sera il presidente Maduro ha richiesto un colloquio telefonico con Trump, ricevendo dalla Casa Bianca un secco no. “Il presidente Trump parlerà con piacere al leader del Venezuela non appena la democrazia sarà restaurata nel suo paese”, si legge nel comunicato dell’addetta alla stampa Sara Huckabee Sanders, che ha ricordato gli appelli di Trump a Maduro per cessare la violenza e la repressione nel paese. Il presidente venezuelano ha invece “rifiutato di accogliere il suo appello, che è stato condiviso nella regione e nel mondo. Maduro ha scelto piuttosto la via della dittatura”.

“Un atto di follia”, così ha definito le parole di Trump il ministro della difesa venezuelano Vladimir Padrino, “Un atto di supremo estremismo. C’è un’élite estremista che comanda gli Stati Uniti”. Il fedelissimo di Maduro ha poi promesso in diretta sulla televisione di Stato: “Come soldato, io sto con le forze armate del Venezuela, e con il popolo. Sono sicuro che saremo in prima linea a difendere gli interessi e la sovranità del nostro amato Venezuela”. Anche il ministro delle Comunicazioni Ernesto Villegas considera le dichiarazioni di Trump “una minaccia senza precedenti alla sovranità nazionale”.

Nel frattempo si allarga il cerchio degli stati sudamericani ostili al regime venezuelano, con le notevoli eccezioni di Cuba, Nicaragua e El Salvador. Da domani il vice-presidente americano Mike Pence sarà in volo verso il Sud America per incontrare i leader di Colombia, Argentina, Cile e Panama: sul tavolo ci saranno anche le sanzioni economiche e diplomatiche contro il governo di Maduro.

Il 5 agosto l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ha lodato la decisione del MERCOSUR, appoggiata da Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, di sospendere il Venezuela, definendola “una presa di posizione esemplare”. Continua poi la rottura di Maduro con le cancellerie sudamericane: venerdì il Perù ha espulso l’ambasciatore venezuelano Diego Molero, ex ministro della Difesa. Maduro ha immediatamente risposto dando 5 giorni all’ambasciatore peruviano a Caracas Carlos Rossi per lasciare il paese.

Sono 124 i morti in Venezuela dovuti alla repressione del regime stando a un rapporto del 31 luglio dell’ufficio del Procuratore Generale. Di queste, l’Alto Commisariato ONU per i diritti umani (OHCHR) attribuisce 46 decessi alla violenza delle forze di sicurezza, 27 ai diversi “colectivos” armati filo-governativi, mentre rimane “incerto chi potrebbero essere i responsabili delle altre morti”. Secondo la stessa fonte, dal 1 aprile al 31 luglio almeno 1958 persone sono rimaste ferite nelle proteste di piazza, 5051 persone sono state “incarcerate arbitrariamente”, e di queste oggi almeno 1000 rimangono dietro alle sbarre.

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