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Perché ai norvegesi l’auto piace elettrica (grazie al petrolio)

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Se Oslo ha un livello di inquinamento acustico decisamente inferiore a Roma o Milano, ciò non è dovuto soltanto al proverbiale senso civico delle genti del nord, ma anche al fatto che la capitale norvegese ha un sistema di trasporti – in particolare privato – che non ha eguali al mondo. Solo nel 2016 le auto elettriche vendute sono state pari al 15% del totale, a cui va sommato un 24% di auto ibride. In pochi anni, dal 2010 al 2016, il numero complessivo di auto elettriche e/o ibride è cresciuto esponenzialmente nel paese  passando dalle 3mila unità del 2010 alle 135mila del 2016.

Una serie di aiuti economici importanti hanno sostenuto un simile sviluppo. Chi possiede un’auto elettrica in Norvegia, infatti, gode di una serie di incentivi che spaziano dai costi di gestione dell’auto stessa (non si pagano i pedaggi autostradali – e considerate le tariffe Norvegesi non è un risparmio trascurabile – e la carica elettrica è pubblica e gratuita) a quelli, ben più sostanzionsi, sull’acquisto (non è prevista né l’IVA del 25% né le rimarchevoli tasse che gravano sulle auto a combustibile tradizionale) che tagliano il prezzo finale per l’acquirente a circa la metà.

D’altra parte, un impulso così marcato allo sviluppo della mobilità sostenibile non deve sorprendere, ed è anzi coerente con la strategia energetica adotatta dal governo scandinavo tale per cui le rinnovabili coprono oggi il 67% del consumo primario di energia: per avere un termine di paragone, l’Italia, che pure è tra i paesi all’avanguardia nel settore delle rinnovabili avendo raggiunto (e in anticipo) gli obiettivi Europei in materia, è “ferma” al 19%.

Ma quella del consumo  è naturalmente solo una delle due facce della medaglia. L’altra è rappresentata dalla produzione di energia, ed è qui che dietro un paradosso solo apparente è possibile scorgere una ben precisa scelta strategica che si sta rivelando assolutamete vincente. Se da un lato infatti il paese investe pesantemente (attraverso i sopracitati incentivi) sul consumo di energia pulita, puntando a limitare l’utilizzo delle fonti tradizionali, dall’altro la produzione di idrocarburi non accenna a diminuire. La Norvegia è infatti il primo produttore di idrocarburi in Europa e addirittura il decimo a livello mondiale, con oltre 3 milioni e 800 mila barili equivalenti di petrolio e gas prodotti ogni giorno. L’industria estrattiva è insomma il pilastro su cui poggia la forza economica del paese (che il Fondo sovrano costituito con i proventi dell’Oil&Gas e che ha raggiunto la dimensione monstre di 860 miliardi di euro sta lì a dimostrare), grazie alla quale la Norvegia sta gestendo senza troppi scossoni la sfida della transizione energetica, quanto meno sul versante dei consumi.

Ecco il paradosso: anche le auto elettriche norvegesi funzionano a petrolio. Ma, come si diceva poc’anzi è un paradosso solo apparente. Gli idrocarburi vengono prima estratti e monetizzati, diventando  ricchezza per la collettività, poi vengono trasformati in incentivi che consentono  l’acquisto delle costose, per ora, auto elettriche (inclusa la Tesla Model S che in Norvegia è sul mercato con un prezzo di listino di 92mila dollari, ridotti di circa la metà grazie appunto agli incentivi fiscali).

Che non ci sia alcuna contraddizione tra lo sviluppo di una mobilità sostenibile, nella fattispecie elettrica, e il continuare a investire nell’Oil&Gas è d’altra parte comprovato dal fatto, poco noto, che se si scorre l’elenco dei primi 4 paesi al mondo per nuove immatricolazioni di auto elettriche si scopre che questi sono, nell’ordine, Norvegia, Olanda, Regno Unito e Stati Uniti: tutti paesi avanzati, tutti paesi forti produttori di idrocarburi (addirittura gli Stati Uniti ne contendono il primato mondiale).

Più interessante ancora è rispondere alla domanda se e in che misura il “modello norvegese” sia esportabile. Se si considerano le due grandezze in gioco  – la produzione di energia tradizionale, da un lato, e il parco auto da cambiare, dall’altro, risultano pochi i paesi che presentano una situazione simile. E tuttavia, ragionando in un’ottica di medlio-lungo termine – che poi è l’orizzonte temporale della transizione energetica – anche paesi con differenti contesti energetici e non solo (come l’Italia) potrebbero trarre beneficio dalla lezione norvegese: massimizzare il patrimonio energetico, monetizzare le risorse, riutilizzarle in maniera programmatica per sostenere (anche) la transizione energetica.

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