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Intesa Sanpaolo, ecco il vero impatto di Popolare di Vicenza e Veneto Banca

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I conti del primo semestre di Intesa Sanpaolo cominciano a recepire gli effetti dell’acquisizione, al prezzo simbolico di 1 euro, della parte “buona” della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, finite in liquidazione coatta dopo la crisi degli ultimi mesi.

L’OPERAZIONE DESCRITTA NELLA SEMESTRALE

Basta leggere la relazione semestrale al 30 giugno 2017 per rendersene conto. Fin dalle prime righe, si trova un’avvertenza, scritta a caratteri cubitali, che spiega: “A seguito dell’avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa Intesa Sanpaolo, in esito ad una procedura aperta a diversi potenziali acquirenti, in data 26 giugno 2017 ha sottoscritto un contratto di acquisto di certe attività e passività e certi rapporti giuridici di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca (nonché delle filiali estere di quest’ultima ubicate in Romania) al prezzo simbolico di 1 euro”. Nell’insieme aggregato “sono incluse le partecipazioni in Banca Nuova, in Banca Apulia e nelle banche estere con sede in Moldavia, Croazia e Albania, nonché le partecipazioni di entrambe le banche in Sec Servizi e in Servizi Bancari. Il valore delle attività e passività incluse nell’insieme aggregato – aggiunge la semestrale – è stato provvisoriamente determinato alla data di esecuzione del contratto sulla base dei valori desumibili dall’ultima situazione patrimoniale disponibile delle due banche, riferita al 31 marzo 2017. A fronte dell’operazione, Intesa Sanpaolo ha ricevuto un contributo pubblico di 3,5 miliardi a compensazione degli impatti sui coefficienti patrimoniali derivanti dall’acquisizione e di 1,285 miliardi volti a sostenere le misure di ristrutturazione aziendale che Intesa Sanpaolo dovrà attivare per rispettare gli impegni assunti con la Commissione europea”. Si arriva così a quasi 5 miliardi di risorse pubbliche già utilizzate, sebbene nel complesso l’operazione di trasferimento delle venete a Intesa comporti per lo Stato un impegno totale fino a 17 miliardi, come dichiarato a caldo dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

L’IMPATTO SULLA RACCOLTA

La semestrale della banca guidata dall’ad Carlo Messina fornisce anche parecchi numeri che tengono già conto dell’effetto venete. Per esempio, la raccolta indiretta, che al 30 giugno 2017 ha superato i 486 miliardi di euro, in aumento di 17,5 miliardi rispetto al dato di fine 2016, ricomprendendo gli apporti di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca supera addirittura quota 500 miliardi, posizionandosi a 506 miliardi. Va poi considerato che per il momento gli apporti delle due venete sono stati “scaricati” sulla Banca dei Territori e che, come si legge nella semestrale, saranno “oggetto di divisionalizzazione con l’avanzare dei processi di integrazione la cui conclusione è prevista nel 2018”. Ebbene, includendo questi apporti, la Banca dei Territori ha evidenziato crediti verso clientela per 218,3 miliardi e una raccolta bancaria pari a 201,5 miliardi. Al netto di tale apporto, i crediti verso clientela sono stati pari a 193,900 miliardi in crescita del 3% rispetto a inizio anno essenzialmente grazie all’incremento dei finanziamenti a medio/lungo termine ai privati (famiglie e personal) e alle imprese. La raccolta diretta bancaria, pari a 171,6 miliardi, ha mostrato una flessione di 2 miliardi (-1,2%) “riconducibile alla componente dei titoli in circolazione”.

LA DISFATTA ATLANTE

La semestrale contempla poi il difficile capitolo Atlante, ossia il fondo guidato da Alessandro Penati che soltanto nel 2016 aveva sborsato quasi 3,5 miliardi per salvare le banche venete senza tuttavia riuscirci (da qui l’operazione targata Intesa, pena un “bail-in” rigido per i due istituti di credito, che il governo Gentiloni ha preferito evitare). Il problema è che Intesa è stata la prima finanziatrice di quello stesso fondo. La semestrale precisa che, al 30 giugno 2017, Intesa Sanpaolo aveva complessivamente versato 742 milioni in Atlante, con un impegno residuo nei confronti del fondo pari a 103 milioni. Va infatti ricordato che fin dal 2016 la banca guidata da Messina si era impegnata con Atlante per una cifra complessiva di 845 milioni. Dal momento che la messa in liquidazione delle venete ha di fatto azzerato la partecipazione del fondo, cioè le azioni (così come le obbligazioni subordinate salvo eventuali risarcimenti), al 30 giugno 2017, “il fair value della quota detenuta da Intesa Sanpaolo in Atlante è risultato pari a circa 66 milioni (corrispondente alla quota di investimento nel Fondo Atlante II e alla liquidità ancora presente) con una conseguente rettifica di valore registrata nel conto economico del primo semestre 2017 pari a 449 milioni (301 milioni al netto dell’effetto fiscale). Considerando anche la rettifica di valore di 227 milioni registrata nel conto economico 2016, l’onere complessivo prodotto dal fondo Atlante nei conti di Intesa Sanpaolo è stato pari a 676 milioni, vale a dire il 91% dell’ammontare sino a oggi versato”. In altre parole, un bagno di sangue.

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