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I muri temuti da Paolo Magri (Ispi) e monsignor Tomasi

Parlare di muri è consuetudine diffusa, vista la situazione internazionale, il periodo storico, i continui richiami da parte di leader internazionali e spesso anche di politici locali. Quello dei muri è infatti certamente un simbolo che caratterizza fortemente il dibattito e lo storytelling di questi anni, e al Meeting una delle mostre che vi sono allestite, curata dal direttore dell’Ispi Paolo Magri e dalla giornalista Monica Maggioni, è dedicata proprio a questo tema. E proprio per via del suo enorme rilievo, c’è il rischio che soltanto l’ascolto del termine provochi il timore di incappare in qualche ridondanza retorica.

L’INCONTRO “AL DI LÀ DEI MURI” CON MAGRI E MONS. TOMASI
Non c’è stato questo rischio al dibattito organizzato ieri nella giornata del Meeting intitolato “Al di là dei muri” – all’interno della manifestazione vi sono numerosi spazi, interventi, richiami dedicati al tema dei muri – con Paolo Magri e Mons. Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico e osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra. Quando si parla di muri si parla delle difficoltà della convivenza, dell’accoglienza, e di chi in qualche modo permette o meno una serena vita sociale tra le persone. Ma si parla anche del muro che Donald Trump giusto negli ultimi giorni ha ribadito, in Arizona, di voler costruire. “Una barriera fisica e tangibile tra due paesi vicini e partner su molti temi – ha spiegato Magri – ma anche uno dei punti cardine di una strategia e di un messaggio politico costruito attorno ai muri”.

I MURI DI TRUMP, TANGIBILI E NON TANGIBILI
Infatti di muri ce ne sono anche non tangibili: “Come quella all’interno della società americana fra bianchi nativi e gli altri, e poi i muri ricostruiti con l’Iran o anche con Cuba, o quelli annunciati del commercio internazionale”. Magri però ha rivelato che “di fatto ci sono molte resistenze e dubbi negli Stati Uniti sulla sua utilità: si è stimata una perdita di due punti di Pil se questi muri venissero costruiti, che non è esattamente ciò che Trump vuole. Ci sono poi conseguenze di tipo politico, visto che fra poco si voterà in Messico e rischia di favorire la vittoria di un candidato, Andres Manuel Lopez Obrador, che propone politiche fortemente anti-americane. Infine i costi, che si aggirano sui trenta miliardi, mentre Trump ha ad oggi trovato appena un miliardo e sei. In Arizona è arrivato a dire: se non ci saranno i soldi non approverò il bilancio e chiuderemo il governo, con il cosiddetto shut down già visto nell’epoca Obama”.

IL MURO DELL’ISLAM E L’ATTENZIONE DEL PAPA
Un altro muro che il direttore dell’Ispi sostiene di temere è quello “che si sta costruendo in silenzio nei confronti dell’islam: dopo le Torri Gemelle dentro tutti noi sta crescendo il fastidio, il timore, il rifiuto del mondo islamico e delle presenze islamiche. L’attenzione che ha il Papa nell’utilizzare le parole islam e terrorismo è più che significativa”. E ha infine rivelato: “Io non sono ottimista nella nostra capacità nel breve periodo di migliorare la gestione dei conflitti, ma ho qualche speranza in più sull’impegno che possiamo ottenere nei prossimi anni sul tema dello sviluppo. Il cui dibattito, per motivi utilitaristici, è entrato nelle stanze importanti dei governi”. L’obiettivo da perseguire è “far sì che si apra una nuova fase nei rapporti con l’Africa”. Anche se i soldi di cui “si sta discutendo sono pochissimi, le ricette per fare realmente sviluppo non le abbiamo. Ma se manterremo attenzione qualcosa di positivo”.

IL MURO DELLA SOCIETÀ CON LA FEDE SECONDO MONS. TOMASI
Un altro muro nient’affatto scontato è quello che sempre più insidiosamente si frappone tra la fede, il senso religioso della vita, e il comune sentire delle persone, abituate allo scorrere più o meno vuoto della vita sociale. “È il muro dell’incomunicabilità tra persone”, ha spiegato Mons. Tomasi: “Nei lunghi anni che ho fatto da servizio diplomatico per la santa sede ho visto che nel trattare con la comunità internazionale si può lavorare portando avanti la difesa dei diritti umani, cercando di negoziare situazioni difficili per evitare conflitti sanguinosi, e cercando di creare le premesse per uno sviluppo equo nei paesi più poveri. Su tutti questi temi ci si può trovare assieme e convergere anche su progetti operativi molto efficaci. Però si arriva a un punto dove il cammino comunque si interrompe”. Questo è “il momento in cui si mette sul tavolo la possibilità di un discorso religioso.” Perciò, ha concluso il porporato, ci si domanda: “Questo muro psicologico è un falso pudore che blocca il coraggio di affrontare le intuizioni che sono all’interno più profondo della persona? È una cattiva volontà di non affrontare i valori ultimi che possono dare significato alla nostra vita?”. La questione che infine emerge, “pienamente”, è: “Questo muro è valicabile?”

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