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Come i populisti influenzano la politica dei non populisti

populisti, jeremy corbyn

(Pubblichiamo un estratto della tesi di laurea “L’euroscetticismo nelle istituzioni: il Front National, la Lega Nord e l’Ukip al Parlamento europeo”Relatore: professor Sandro Guerrieri. Laurea magistrale in Storia delle istituzioni politiche italiane ed europee, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma)

Nel Regno Unito, durante le elezioni di giugno il leader laburista Jeremy Corbyn è riuscito a mettere in grave difficoltà i conservatori di Theresa May, recuperando a sorpresa circa 20 punti percentuali rispetto ai sondaggi. Per avere i numeri necessari a guidare il Paese nel tortuoso percorso verso la Brexit, i Tories hanno dovuto quindi scendere a compromessi con il Democratic Unionist Party, un partito populista ed euroscettico che tuttavia non garantisce loro una maggioranza solida e stabile. Inoltre, se leggiamo questo dato elettorale in combinato disposto con la grande sconfitta dell’Ukip, alcune domande sono inevitabili: se la battaglia referendaria intrapresa dai conservatori era nata al fine di recuperare i consensi sottratti proprio dall’Ukip, dove sono confluiti tutti quegli elettori che hanno scelto di non sostenere né il Partito Conservatore né l’Ukip?

Tra le varie conseguenze della Brexit c’è anche la questione scozzese. Il governo britannico si è trovato costretto a fronteggiare nuovamente un problema che era considerato risolto a seguito del referendum del 18 settembre 2014, quando più del 55% degli scozzesi si era dichiarato contrario all’indipendenza. Una scelta sulla quale proprio la permanenza nell’Unione europea aveva giocato un ruolo fondamentale ai fini della decisione dei cittadini scozzesi; i quali infatti, come gli irlandesi, non hanno esitato nel votare in massa a favore del remain. La vittoria del leave ha aperto dunque la possibilità di una nuova consultazione referendaria sull’indipendenza della Scozia, decisa a preservare il suo status nell’Unione.

Quanto delineato fin qui apre alla possibilità di diversi sviluppi. Ma per fare previsioni sul futuro dell’Europa sarà necessario attendere due nuovi appuntamenti alle urne: le elezioni federali tedesche del 24 settembre, in cui si sfideranno Angela Merkel e l’ex presidente del parlamento Ue Martin Schulz, e le politiche in Italia, dove il Partito Democratico di Matteo Renzi, che proprio alle europee del 2014 aveva raggiunto ben il 40,8% dei voti, dovrà fare i conti con i due principali euroscettici, Matteo Salvini e Beppe Grillo, anche alla luce di una loro ipotetica alleanza. Ma non solo: perché il nuovo scenario del centrodestra sembra essere ancora incerto proprio come quello del centrosinistra, che deve tenere testa alle sue continue divisioni.

Una cosa è certa: l’atteggiamento degli italiani rispetto all’Unione europea è sensibilmente mutato, orientandosi sempre di più verso lo scetticismo, nonostante siano sempre stati considerati fervidi sostenitori del processo d’integrazione europea. Una prima svolta in tal senso è avvenuta con la firma del Trattato di Maastricht, che ha provocato una sorta di disincanto nella popolazione; disagio accentuatosi poi dal 2009, anno in cui entra in vigore il Trattato di Lisbona ma anche periodo nel quale la crisi economica inizia a produrre i primi effetti sui cittadini. Le politiche di austerità hanno fatto sì che dilagasse la percezione di un’Unione “matrigna”, confermando la correlazione tra crisi economica ed euroscetticismo. Qualunque sarà lo scenario della prossima competizione elettorale, molto del futuro dell’Italia dipenderà dalla sua capacità di imporsi validamente nel dialogo con l’Europa. Per questo motivo, i diversi attori politici, anche coloro che intendono utilizzarlo a proprio vantaggio, non potranno prescindere dal mutato orientamento dell’elettorato italiano.

Una chiave di lettura utile per comprendere l’evoluzione dei partiti euroscettici europei la fornisce un saggio di Maurizio Cotta (Contro l’Europa? I diversi scetticismi verso l’integrazione europea), che porta come esempio il caso di Syriza in Grecia. Syriza è stato il primo partito apertamente euroscettico ad arrivare al governo di uno Stato membro, e questo ha fatto sì che Alexis Tsipras e i suoi ministri entrassero nel Consiglio europeo, diventando parte integrante del “governo europeo”. Per contro, nel Parlamento Ue gli eletti di Syriza, in quanto euroscettici, si collocano all’opposizione. Ma la posizione minoritaria nel governo europeo, nonché la peculiarità del caso greco, legato alla grave crisi economica, hanno rapidamente costretto Tsipras a ridimensionare il tasso di euroscetticismo del suo stesso partito.

Per ora, dunque, il sistema istituzionale europeo ha dimostrato la capacità di riassorbire anche le posizioni più estreme di opposizione. Ma cosa accadrà se in futuro vi saranno altri partiti euroscettici alla guida di più Stati membri?

Inoltre, anche se in questo momento il vento dei populismi sembra affievolito, è bene ricordare che la loro capacità di influenzare la società va oltre i meri risultati elettorali. Il loro “messaggio” arriva a prescindere dai consensi, giocando sulle paure e alimentando la sfiducia verso le istituzioni, Europa per prima.

 

 

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