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Ecco come e perché Trump sballotta Nicholson sull’Afghanistan

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In Afghanistan gli americani continuano a morire, ma la Casa Bianca è indecisa sul che fare in una guerra che sta per entrare nel suo diciassettesimo anno ed è già la più lunga nella storia degli Stati Uniti. Mercoledì tre soldati dell’82ma Airborne Division sono caduti in un attacco talebano a Kandahar compiuto con un’autobomba che ha colpito il loro convoglio nei pressi dell’aeroporto. La conta delle vittime Usa in Afghanistan si allunga dunque ulteriormente – sono dieci i morti di quest’anno, per un totale di oltre 2.400 dall’inizio del conflitto cominciato tre settimane dopo il tragico attentato dell’11 settembre 2001.

La notizia raggiunge gli Stati Uniti mentre la Nbc pubblica un articolo che rivela il dramma consumatosi nella Situation Room della Casa Bianca lo scorso 19 luglio. Nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale durato oltre due ore, alla presenza di Trump e dei massimi responsabili della politica estera e di difesa dell’America, il presidente avrebbe manifestato la propria insoddisfazione per il continuo deterioramento del quadro dell’Afghanistan, attribuendone le responsabilità ai militari e in particolare al comandante delle forze Usa nel paese asiatico, il generale John Nicholson. In una manifestazione di sfiducia che rappresenta un capovolgimento rispetto all’affidamento a occhi chiusi che Trump ha usato fino ad oggi nei confronti dei militari, Trump avrebbe chiesto al segretario alla Difesa James Mattis e al capo degli Stati maggiori riuniti , il generale Joseph Dunford, di rimpiazzare Nicholson. “Non stiamo vincendo” in Afghanistan, avrebbe sbottato il presidente di fronte a mappe del paese che mostrano l’avanzata dei talebani. “Stiamo perdendo”.

Con un aneddoto che dimostra icasticamente l’evoluzione del pensiero presidenziale, Trump avrebbe raccontato ai presenti la storia di un ristorante newyorchese da lui assiduamente frequentato negli anni ’80. Il “Club 21”, ha spiegato il tycoon, decise una temporanea chiusura nel 1987 e si affidò ad un consulente per stabilire come proseguire le attività. Questi avrebbe suggerito di allargare le cucine: un consiglio stupido, ha fatto capire il capo della Casa Bianca, per nulla paragonabile a ciò che avrebbero potuto suggerire i dipendenti del ristorante. Fuor di metafora, il presidente lascia intuire la sfiducia nutrita rispetto al top brass, generali a tre o quattro stelle che non conoscono direttamente la situazione sul terreno, e la maggiore affidabilità che avrebbero i soldati semplici che quella situazione la vivono sulla propria pelle ogni santo giorno. Pare che il generale Mattis sia rimasto particolarmente turbato dall’aneddoto presidenziale, al punto che la consueta camminata che egli suole fare ogni volta che affronta un problema delicato sarebbe durata quel giorno più del consueto.

Il problema sollevato da Trump concerne, in definitiva, l’incertezza che regna nella Casa Bianca sulla strategia da adottare per risollevare le sorti del conflitto in Afghanistan. È da mesi ormai che si attende il varo di un nuovo piano – Mattis due mesi fa aveva annunciato che sarebbe stato pronto per metà luglio, ma ancora non si è visto. Da più parti si parla di un incremento delle truppe di 4-5 mila unità, da aggiungersi alle 8.400 già presenti. Ma anche la tentazione del disimpegno si fa strada nei corridoi della Casa Bianca, per non parlare dell’ipotesi, trapelata il mese scorso, di una privatizzazione del conflitto, da far gestire a dei contractors. Emblematica dell’inquietudine che domina la mente del presidente è un altro tema discusso nella riunione del 19 luglio: Trump avrebbe chiesto ai presenti conto di come mai gli Stati Uniti non possano appropriarsi delle ricche risorse minerarie dell’Afghanistan, cosa che ai cinesi riesce benissimo.

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