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Ecco il costo di infrangere il sogno dei Dreamers per Trump

Entro martedì 5 settembre (domani), il presidente americano Donald Trump dovrà prendere la sua decisione finale sul DACA, acronimo di Deffered Actions for Childhood Arrivals, ossia la politica avviata dall’amministrazione Obama di escludere dalle dinamiche rigide dell’immigrazione americana i clandestini entrati negli Stati Uniti quando erano minorenni.

I DREAMERS

Li chiamano “Dreamers”, perché molti di loro sono arrivati da bambini senza essere consapevoli della scelta migratoria a cui i genitori li avevano forzati, ragion per cui, ha pensato la progressista amministrazione che ha preceduto quella di Trump, loro avevano tutto il diritto di vivere nell’America del sogno senza sanzioni. Non erano responsabili di aver violato la legge, dunque la norma – del 2012 – prevedeva di spostare, deferire le misure di espulsione di due anni, rinnovabili via via tramite permessi di lavoro, spianando la strada ad una regolarizzazione futura. Numeri? 800 mila persone ne hanno, e ne stanno, usufruendo.

PERCHÉ TRUMP VUOLE ABOLIRE IL DACA

Trump vorrebbe abolire la norma: lo vuol fare perché la sua campagna contro gli immigrati irregolari, quella che passa dal Muro col Messico che ancora non ha fondi (e che invece aveva promesso di costruire in sei mesi, facendolo pagare ai vicini) e arriva fino ai rimpatri dei musulmani, ha avuto grande vento in campagna elettorale – quando definiva il provvedimento obamiano “un’amnistia illegale” –, ha portato voti, ma di fatto è ferma, bloccata dalla realtà di governo. Abolire il DACA è una scelta politica pesante, rinviata di mesi e mesi, che si scontra con almeno due aspetti critici.

IL CONTRACCOLPO ECONOMICO-SOCIALE

Primo, quello economico: c’è una lettera che capi d’azienda globali come Tim Cook e Jeff Bezos – e Mark Zuckerberg, per via personale –, hanno scritto per evitare che Trump cancelli i Dreamers (ne ha parlato Francesco Bechis su queste colonne), che sono “vitali per le nostre aziende” e per l’intera economia americana, dicono i CEOs. Molti dei giovani sognatori figli di immigrati, effettivamente, sono entrati nei programmi della Silicon Valley e diventati risorse indispensabili. Sotto questo aspetto Trump rischia di prendere un’altra bordata dai dirigenti delle principali aziende americane dopo quella ricevuta a seguito dell’incerta condanna contro i neo-nazi di Charlottesville.

IL PARTITO E IL CONGRESSO

Il secondo problema è di carattere politico-pratico. Lo speaker della Camera Paul Ryan, tra il gotha dell’establishment repubblicano, ha chiesto al presidente di non accanirsi su questi ragazzi e di lasciare al parlamento il ruolo di discutere e legiferare. È un momento delicato, Trump vorrebbe far passare la riforma fiscale, deve ottenere i fondi per sostenere le popolazioni colpite dall’uragano Harvey, tutto senza intaccare il bilancio, pena la mancata approvazione del tetto del budget necessario per tirare avanti fino a dicembre. C’è una deadline, se il Congresso non vota entro settembre si va in shutdown, e sarebbe un’altra batosta per la presidenza: i democratici faranno opposizione, i repubblicani sono i voti che servono a Trump, ma ci sono molti che hanno posizioni agguerrite contro il Prez.

CUORE E BASE

È per questo che la Casa Bianca assicura che tratterà la situazione con “un grande cuore”, parole del vice presidente Mike Pence, perché “adoro questi ragazzi”, ha detto Trump – ma senza dimenticare che lo zoccolo duro che ancora tiene in piedi quel minimo di approval vorrebbe i Dreamers fuori dall’America senza troppe moine. Il cerchio del potere trumpiano non è stato mai in dubbio sul se rimuovere il DACA, ma sul come farlo, ossia sul come rendere la decisione una buona occasione di propaganda senza creare troppi impatti sociali. Secondo le ultime informazioni, Trump domani – pressato dalla base – annuncerà la rimozione del DACA, ma, secondo Politico, facendola slittare di sei mesi, in modo da permettere al Congresso una finestra temporale per eventuali (re)azioni legislative (a giugno il senatore della Florida Marco Rubio, altro pezzo dell’establishment del partito, aveva detto alla CNN che sarebbe servito “lavorare su un modo per affrontare questo problema e risolverlo attraverso la legislazione, che è il modo giusto per farlo e il modo costituzionale di farlo”).

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