Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Tutti gli intralci (anche nel Pd) per Marco Minniti

Marco Minniti

La vita di Marco Minniti, all’interno del Pd, è tutt’altro che semplice. Deve combattere quotidianamente con una cultura che risente di quel misto di solidarietà e terzomondismo, che fu un’acquisizione relativamente recente del vecchio partito comunista. Che, specie sotto la direzione di Enrico Berlinguer, ruppe con la tradizione della Terza Internazionale. L’Europa ed il mondo più sviluppato, come culla del socialismo da realizzare. I comunisti francesi, tanto per citare un caso, osteggiarono il movimento di liberazione algerino, sostenendo che solo dalla Francia socialista poteva nascere la spinta verso l’emancipazione di quel mondo lontano. Il tutto reso più complicato dalle divergenze russo-cinesi sulla strategia da seguire, in vista della rivoluzione mondiale. Le campagne che dovevano accerchiare le città per abbattere il capitalismo. Dove le campagne altro non erano che il grande mondo sottosviluppato.

Deve inoltre fare i conti con la tradizione cattolica. Siamo tutti figli di un unico Dio. Quindi porte aperte per coloro che soffrono e cercano un proprio riscatto. Che poi questa predicazione si fermi purtroppo ai confini del nostro Paese, e non vada oltre Ventimiglia o il Brennero, è una contraddizione tutta vaticana. Per il nostro ministro degli Interni, tutto ciò determina stress e lo costringe ad un difficile esercizio di equilibrio. Se da un lato ferma gli sbarchi, com’è avvenuto; ecco allora che gli piove sulla testa l’accusa di essere di “destra”. E subito un suo qualche collega di governo lo rimbrotta, lamentando il suo scarso spirito cristiano. Accusa dalla quale cerca di smarcarsi, invocando la necessità di una maggiore integrazione. Nel presupposto che “non esiste equazione tra terrorismo e immigrazione – come ha spiegato alla festa del Fatto Quotidiano (sede per lo meno ostica per parlare di migrazione) – i terroristi sono figli della non integrazione e l’accoglienza ha il suo grande limite nella mancata integrazione”.

Sarebbe bello se fosse così. Ma ragionamenti di questo tipo hanno la pecca di essere esclusivamente eurocentrici. Risentono, in altre parole, di analisi che sono mutuate esclusivamente da modelli di comportamento europei. Con il difetto ulteriore della loro relativa contemporaneità. Basterebbe allungare lo sguardo ai secoli passati per comprendere quanto più complesso possa essere un fenomeno, che la stessa Europa, nei secoli, ha subito. Molti hanno dimenticato cosa fu la guerra dei trent’anni che si sviluppò agli inizi del 1600 (1618-1648). Fu guerra totale tra cattolici, luterani e calvinisti. Un gigantesco conflitto religioso su cui si innestarono le pretese di singoli Stati e statarelli nella ricerca della propria egemonia o della propria semplice sopravvivenza. Guerra efferata: devastazione di centri abitati, uccisioni di massa, l’estrema ferocia di eserciti mercenari, saccheggi, violenze contro la popolazione civile. Il tutto nel nome del proprio credo contro “l’infedele”. Dodici milioni di morti: secondo gli storici.

Provate ad applicare questo schema alla Siria, all’Afganistan o agli altri teatri di guerra del Medio Oriente. Lo scontro è tra sciiti, sunniti, alawiti, wahhabiti. Solo per citare le formazioni maggiori. Denominazioni diverse rispetto ai protagonisti della guerra dei trent’anni. Ma identico l’accanimento. La voglia di far trionfare il proprio rito, rispetto a quello dei concorrenti, considerati eretici, travisatori, traditori delle sacre scritture e via dicendo. Comunque nemici da abbattere senza la minima pietà, come mostrano le stragi che insanguinano, ogni giorno, quei martoriati villaggi o quelle città. Guerra solo di religione? Il ruolo delle singole potenze regionali – Turchia, Iran, Arabia Saudita e via dicendo – non è poi dissimile da quello esercitato dalla Francia, dalla Spagna o dall’Austria durante quella grande tragedia europea. Ed ora come allora il terrorismo altro non è che lo strumento che non mira solo a colpire l’occidentale. Ma a trasformarsi in un trofeo da esibire per estendere la zona d’influenza dei singoli gruppi religiosi in lotta tra loro. Kazançlı ve heyecan verici bir deneyim için doğru adres En güvenilir casino siteleri ! Türkiye’nin en iyileri arasında yer alan bu siteler, geniş oyun yelpazesi, rekabetçi bonuslar ve kesintisiz müşteri hizmetleri ile öne çıkıyor. Slotlar, poker, blackjack, rulet ve daha fazlası, tümü adil oyun garantisi ile sizleri bekliyor. Güvenli ödeme seçenekleri ve hızlı para çekme işlemleri ile kazançlarınızı güvende tutun. En güvenilir casino sitelerinde, eşsiz bir oyun deneyimi ve gerçek kazançlar için şimdi yerinizi alın. Bu siteler, sadece bir tık uzağınızda sizlere unutulmaz anlar yaşatmak için hazır!

Se si parte da qui, l’idea che il terrorismo sia figlio della mancata integrazione è solo fuorviante. La molla che spinge il “martire” al gesto estremo è tutta interna alla passione che lo anima. Allah Akbar non è altro che un parente prossimo di Gott mit uns: il motto dell’esercito del Re di Prussia prima e degli imperatori tedeschi poi. La trasposizione nel trascendente di un’esigenza terrena legata alla conquista ed alla volontà di potenza. Del resto nei vari attentati che si sono verificati in Europa la presenza di un iman, capace di suggestionare ed orientare i “morituri”, è una costante che si ripete con grande frequenza. A dimostrazione che non basta vivere in condizioni precarie – cosa che non sempre si verifica – per imboccare una strada senza ritorno.

Il ministro Minniti queste cose le conosce bene. Ma nonostante ciò è costretto a ripetere frasi di circostanza, per pararsi dagli attacchi dei suoi avversari. Le ragioni di questo modo di operare sono comprensibili nella confusa situazione italiana. In cui una parte della popolazione fedele – per la verità sempre meno – al proprio credo, cerca con stoica rassegnazione di non vedere quel che sta accadendo. Quel sentimento di insofferenza che non nasce da un’innata xenofobia, ma da un disagio reale dovuto alla scarsità di risorse a disposizione per affrontare un fenomeno, fino a qualche mese fa, incontrollato. Prendiamo quindi per buone le sue affermazioni. Quel che conta sono i fatti. Il contenimento dei flussi. Ed è per questo che deve essere giudicato.

 

×

Iscriviti alla newsletter