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Vi spiego le vere mire (non solo nucleari) della Corea del Nord

kim jong un

In linea generale, nonostante il nuovo test atomico abbia attirato l’attenzione internazionale, gli equilibri attorno alla Corea del Nord non ne saranno particolarmente alterati, spiega a Formiche.net l’esperto Marco Milani della University of South California.

LA RETORICA…

Che cosa sta facendo Kim Jong-un? La scorsa settimana, dopo che un missile balistico aveva attraversato il territorio giapponese, ha parlato di “un primo passo dell’operazione militare del KPA (il suo esercito, ndr) nel Pacifico e nel contenimento di Guam”, base militare americana: ora il test atomico. “La retorica del regime di Kim Jong Un è da sempre, come da tradizione del regime nordcoreano, votata a minacce esplicite e dirette contro obiettivi precisi: basti pensare a quante volte è stato ripetuto che l’artiglieria della Corea del Nord avrebbe ridotto Seoul ad un ‘mare di fuoco’. Detto questo non penso ci sia una reale volontà di colpire Guam o di portare avanti test missilistici in tale direzione”.

… PER MANTENERE IL POTERE

Il regime conosce bene i rischi dello sferrare un attacco diretto agli Stati Uniti, dunque le parole e le azioni di Kim hanno un obiettivo soprattutto interno? “Bisogna sempre tenere presente come la sopravvivenza sia il fine ultimo e supremo del regime stesso. Quindi credo che ci sia un deliberato uso della retorica, indirizzato soprattutto a rispondere alle minacce lanciate da Donald Trump all’indomani del secondo test missilistico a lungo raggio di fine luglio”, quando il presidente americano minacciò “fuoco e furia” contro il Nord.

COSA FARE CON KIM?

Trump ha commentato l’ultimo test atomico dicendo che il regime di Pyongyang “capisce solo una cosa”, probabilmente intendendo le cattive maniere militari, diciamo: giorni fa, dopo il lancio sul Giappone aveva già detto che il dialogo con la Corea del Nord non è più utilizzabile: ma quali possono essere le alternative? “Purtroppo non ci sono alternative credibili. Le sanzioni hanno ampiamente dimostrato di non funzionare, l’unico sistema che regge nella questione nordcoreana ormai da decenni è quello della deterrenza: minacce e retorica quasi costanti ma impossibilità da entrambe le parti di intraprendere azioni reali”.

GLI SPAZI PER UN’AZIONE MILITARE

Ivi compreso un attacco militare, ovviamente? “Un’azione militare americana sembra fuori portata, dal momento che si tradurrebbe senza dubbio in una guerra aperta, con centinaia di migliaia di morti sudcoreani, probabilmente con il coinvolgimento anche del Giappone e con vittime fra i soldati americani di stanza in questi due paesi”.

E QUELLI PER IL DIALOGO

Ma ci sono possibilità e spazi per il dialogo? “Potrebbe essere un’alternativa reale nel caso in cui si trovasse una soluzione per permettere a Pyongyang di non mettere in discussione il proprio programma nucleare (per esempio, un congelamento temporaneo anziché smantellamento definitivo) e agli USA di salvare la faccia, dimostrando di avere in qualche modo limitato la pericolosità del regime”.  Questo più o meno è ciò che vuole la Cina, giusto? “Sì, in questa direzione andava la proposta cinese del ‘freeze-for-freeze’, con  l’interruzione da un lato dei test nucleari e missilistici nordcoreani e dall’altro delle esercitazioni congiunte fra Stati Uniti e Corea del Sud. Purtroppo tale proposta è rimasta lettera morta e nelle ultime settimane la situazioni si è deteriorata rapidamente, come dimostrato soprattutto dai due test di luglio e dal sesto test nucleare di domenica”.

LA CINA COME MEDIATORE

Che ruolo può giocare Pechino, che anche domenica è stata tirata in ballo da un altro dei tweet con cui Trump ha commentato il nuovo test atomico? “Di certo delegare la soluzione del problema alla Cina, come ha tentato di fare Trump in questi mesi, non può essere la soluzione: in primo luogo perché gli interessi cinesi nella questione divergono da quelli americani, e in secondo luogo perché il programma nucleare e missilistico nordcoreano è da sempre indirizzato (più politicamente che militarmente) verso Washington. Pechino quindi può fungere da mediatore, ma la soluzione deve essere trovata dai due principali attori in campo”.

UN ALLEATO SCOMODO

Siamo portati a considerare la Cina come burattinaio del regime del Nord, ma quanto è davvero così? “Pechino ha un ruolo complicato. Appare chiaro come le continue provocazioni di Pyongyang creino grossi problemi ai cinesi, non solo dal punto di vista diplomatico ma anche di sicurezza, dal momento che creano tensione nell’area e soprattutto forniscono agli americani una sponda per rafforzare la loro presenza militare nella regione, si veda la questione del THAAD in Corea del Sud per esempio”.

LA GEOPOLITICA IN QUEL TRATTO DI CONFINE

Però la Cina vede Pyongyang anche in termini di utilità. “Pechino ha interessi strategici divergenti rispetto a quelli di Washington. Il ruolo di buffer state giocato dalla Corea del Nord fra i confini cinesi e le truppe americane è ancora un imperativo strategico per Pechino, che teme una riunificazione per assorbimento che porterebbe ad avere una grande Corea del Sud, estesa fino al confine del fiume Yalu. Inoltre un crollo improvviso del regime avrebbe conseguenze destabilizzanti in tutta la regione, da un probabile flusso di rifugiati verso il territorio cinese, alla gestione delle armi nucleari attualmente in possesso del regime. Per queste ragioni, allo stato attuale l’obiettivo della Cina rimane quello della gestione dello status quo, cercando al contempo di creare le condizioni per riportare al tavolo dei negoziati i due principali contendenti”, al momento rappresentati da Trump e Kim.

(Foto: KCNA, via Guido Olimpio)

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