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Tim-Telecom e Open Fiber, cosa pensa Caio (nuovo consigliere di Calenda)

Di Valeria Covato e Fernando Pineda

Modello olandese per le reti di telecomunicazione in Italia con un consorzio misto Stato/Telecom? È quello che proponeva qualche anno fa Francesco Caio, nuovo consigliere del Mise, il ministero per lo sviluppo economico retto da Carlo Calenda da cui dipende il piano per la banda larga.

LA NOMINA DI CALENDA

Caio, secondo quanto ipotizzato oggi dal Corriere della Sera, sarebbe presumibilmente consigliere per le reti. Nessuna comunicazione ufficiale è ancora giunta dal Mise, ma secondo quanto riportato dal Corsera il manager sarebbe stato nominato dal ministro Calenda per far parte di un gruppo di lavoro in via di costituzione che si occuperà di politica industriale. Il suo nome era già circolato come possibile consulente di Palazzo Chigi sulla politica industriale dopo per volontà in particolare di Matteo Renzi Caio non fu confermato a Poste Italiane.
La consulenza riguarderebbe le scelte per l’implementazione del piano per la banda larga e l’incarico conferito a Caio non prevede alcuna retribuzione.
Caio, 60 anni, da maggio 2014 ad aprile 2017 amministratore delegato e direttore generale del gruppo Poste Italiane, è stato consulente del governo per la banda larga e l’Agenda Digitale con Silvio Berlusconi ed Enrico Letta, e ha prodotto un paper sulle reti di nuova generazione e sull’assetto regolatorio per il governo britannico.

LA BANDA ULTRA LARGA IN ITALIA

Il terreno su cui Caio si troverà ad operare è sabbioso. Il grande progetto di un’unica rete nazionale (qui l’approfondimento di Formiche.net), che avrebbe dovuto fondere gli asset Telecom con quelli Open Fiber, sembra essere sfumato dopo il niet dell’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace. “Cablare l’Italia è la nostra missione e la stiamo facendo bene. Il nostro focus è quello. Non ci interessano altre combinazioni, non ci interessano accrocchi societari”, ha detto Starace a margine del convegno di Cernobbio, a proposito dell’ipotesi di integrazione tra la rete di Telecom Italia e quella di Open Fiber. Contro il progetto si è espresso anche il sottosegretario Antonello Giacomelli, mentre tra i favorevoli c’è Franco Bassanini, presidente di Open fiber, la società di Enel e Cassa depositi e prestiti incaricata dal governo per cablare il Paese per costruire una infrastruttura che non vende ai clienti finali ma solo ai provider. Bassanini avrebbe una sintonia su questo dossier con il presidente di Cassa depositi e prestiti, Claudio Costamagna, ma tra azionisti e top management di Cdp le opinioni sono frastagliate. Collaborazioni e sinergie sulle reti sono state auspicate anche da Matteo Renzi a Piercarlo Padoan, oltre che dai vertici di Vivendi che controlla Tim.

IL MODELLO OLANDESE

In un documento preparato da Caio nel 2009 su richiesta del governo Berlusconi sullo stato di salute della banda larga in Italia, il manager auspicava lo scorporo della rete da Telecom con la costituzione di una società pubblica per gestire insieme rame e fibra. Il piano, si leggeva sul documento “per non arretrare in Europa implica la creazione di un’azienda rete nazionale in fibra”. Secondo le linee guida di Caio la soluzione migliore per evitare lo scontro tra Telecom e governo con due sviluppi paralleli di reti “sarebbe il modello olandese (Kpn), cioè un consorzio partecipato dallo Stato ma anche da Telecom. Solo così la società potrà decidere di ritirarsi dal rame man mano che avanzerà la fibra. La soluzione, una volta che il governo avrà valutato le proprie politiche industriali non potrà che passare da un tavolo”.

I RITARDI

In un rapporto redatto nel 2014 da Caio delineava le iniziative necessarie per arrivare nel 2020 alla copertura integrale in banda larga del nostro Paese (leggi qui tutti i dettagli), facendo luce sui palesi ritardi nei confronti con i partner Ue. Un ritardo, sosteneva Caio allora commissario governativo per l’Agenda Digitale nel governo Letta, legato al rallentamento nella penetrazione e nella richiesta delle tecnologie più avanzate, al calo delle linee fisse attive, al consumo di video on line più basso che negli altri paesi europei. Per incoraggiare l’offerta soprattutto nelle aree più difficili da raggiungere, l’ex ad di Poste puntava sul ricorso mirato ai fondi strutturali Ue, coinvolgendo gli operatori privati nel rispetto delle regole di concorrenza.

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