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Ecco le bizzarrie dei dati Istat sul commercio al dettaglio

Di Michele Arnese e Lorenzo Bernardi

Come va il commercio in Italia? È piuttosto complicato saperlo, perché le rilevazioni più organiche, quelle dell’Istat, non tengono conto delle vendite online, che occupano una fetta sempre più consistente di mercato.
Nell’ultimo rapporto dell’Istituto di statistica, che è uscito ieri e fa riferimento ai dati dello scorso luglio, rispetto al mese precedente si evince un lieve calo, dello 0,2%, della vendita al dettaglio.
Ma quanto sono affidabili, per fotografare la reale situazione dei consumi italiani, statistiche che escludono una fetta sempre più rilevante degli acquisti compiuti con l’e-commerce?

IL BOOM DELL’ E-COMMERCE

Eppure il settore è in grande espansione. Dal 2010, secondo le rilevazioni della School of management del Politecnico di Milano e di Netcomm, siamo passati da 8 miliardi l’anno ai quasi 20 miliardi del 2016, con la previsione di un’ulteriore crescita, entro il 2017, fino a 23,4 miliardi. L’impennata registrata solo nell’ultimo anno è del 20%. Quanto basta per concludere che i dati elaborati dall’Istat non possono fotografare il reale andamento del commercio al dettaglio in Italia.
C’è da dire che, in termini percentuali, il commercio online nel nostro Paese incide limitatamente sulle vendite totali. Secondo i dati forniti dall’UK Centre for retail research, nel 2014 gli 8,64 milioni di dollari di acquisti online rappresentavano appena il 2,1% del totale degli acquisti. Sicuramente, considerata l’impennata registrata negli ultimi due anni, questa percentuale è salita, anche se l’Italia resta nel complesso molto indietro rispetto a Paesi come Regno Unito e Germania.

STATISTICHE DISTORTE

La rilevazione mensile Istat, così si legge sulla nota metodologica allegata al comunicato, “si riferisce alle imprese commerciali che operano tramite punti di vendita al dettaglio in sede fissa e attraverso alcune forme di vendita al di fuori dei negozi”. In sostanza, solo i negozi “reali”. “Di fatto, la rilevazione è bipartita tra piccole superfici e grande distribuzione – commenta con Formiche.net l’economista Mario Seminerio, che cura il blog Phastidio.net -. Credo sarebbe utile se Istat modificasse le rilevazioni includendo le imprese che vendono tramite e-commerce. Si capirebbe di più circa l’andamento effettivo dei consumi, e la pressione deflazionistica che l’online esercita sul commercio tradizionale. Invece, usando solo il commercio in sede fissa, si perde la profondità del fenomeno ma si ottengono distorsioni interpretative, che magari spingono a dire che ‘i consumi non ripartono’, mentre magari si sono solo spostati sull’online”.

L’ISTAT: “DIFFICILE CALCOLARE IL COMMERCIO ONLINE”

“Per le nostre rilevazioni ci atteniamo al regolamento dell’Unione Europea 1165/98 – spiegano dall’Istat –. Al momento dell’e-commerce non viene tenuto conto, se non in alcuni casi limitati”. Eppure l’online “cuba” sempre più e, di pari passo con la sua crescita, si registra una minore affidabilità delle statistiche tradizionali. “Lo sappiamo, e infatti ci stiamo lavorando – replica l’Istat – Esiste però un problema metodologico. È molto difficile effettuare analisi statistiche scientifiche sul mare magnum del commercio online senza un modello adeguato”.

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