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Sanzioni Onu alla Corea del Nord, tutti i dettagli sul compromesso fra Usa, Cina e Russia

israele, VLADIMIR PUTIN

Lunedì il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità il nono round di sanzioni contro la Corea del Nord. Le misure, conseguenza diretta del test su un ordigno nucleare del 3 settembre, sono passate in misura annacquata rispetto alle richieste avanzate dagli Stati Uniti, perché altrimenti provvedimenti più severi avrebbero incontrato il veto di Cina e Russia.

IL RUOLO DI CINA E RUSSIA

Mosca e Pechino sono due membri permanenti del CdS che cercano una via più dialogante e meno aggressiva con Pyongyang: la loro è anche una posizione d’interesse, perché, per esempio i cinesi, chiedono di coltivare la soluzione del doppio-congelamento, ossia intavolare un negoziato che abbia come base lo stop al programma nucleare nordcoreano contraccambiato da un ritiro (o quanto meno un disimpegno) americano in Corea del Sud. È una posizione di interesse perché, soprattutto la Cina, ma anche la Russia, sono in competizione globale con gli Stati Uniti e in concorrenza su aree strategiche come il Pacifico: sulla base di questo contrasto, il mantenimento di una minaccia persistente come il regime del Nord è da leggere pure come un altro interesse strategico cinese (anche se a tutti gli effetti difficile da controllare fino in fondo) che ha come fine la distrazione americana.

SEVERI, CON MODERAZIONE

La scorsa settimana il presidente russo Vladimir Putin s’è inserito di forza nel dossier, dichiarando in varie occasioni che la linea seguita finora dall’amministrazione Trump era sbagliata, chiedendo di smetterla con la retorica muscolare per evitare conflitti incontrollabili, e, nello specifico, definendo la risoluzione sanzionatoria presentata dall’ambasciatrice americana all’Onu “controproducente e potenzialmente destabilizzante”. Washington voleva bloccare completamente l’import di petrolio: una circostanza che avrebbe messo ulteriormente in crisi un paese dove letteralmente si soffre la fame.

LA RISOLUZIONE APPROVATA

Alla fine, dopo una serie di riunioni a porte chiuse che si sono svolte durante la notte di domenica al Palazzo di Vetro, è stato deciso di mettere un cap, un tetto, alle importazioni di greggio ma non di bloccarle completamente (il limite è di due milioni all’anno), secondo una proposta di Cina e Russia che ha ottenuto il consenso unanime dei 15 membri, permanenti e temporanei, del CdS. Altri due aspetti saltati rispetto alla bozza americana: non ci sarà la possibilità di usare la forza per ispezionare le navi che entrano o escono dalle acque nordcoreane e il dittatore Kim Jong-un non riceverà sanzioni personali. Gli Stati Uniti ne escono abbozzati, ma l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley (per lei si ventilano posizioni più importanti nel futuro dell’amministrazione, come per esempio il trono al dipartimento di Stato) ha lo stesso esaltato il voto come un successo, perché per la seconda volta in soli due mesi tutto il CdS s’è trovato d’accordo sul punire Pyongyang e il presidente americano e quello cinese hanno lavorato bene insieme, dice lei.

TRUMP, KIM, PECHINO, MOSCA…

Haley è colei che la scorsa settimana, durante la riunione d’emergenza delle Nazioni Unite dopo il test nucleare a Punggye-ri, disse che la Corea del Nord “s’era messa sulla strada per iniziare una guerra”, ma ora esalta una risoluzione dove cinesi e russi hanno fatto mettere nero su bianco che la crisi dovrà essere trattata “attraverso mezzi pacifici, diplomatici e politici”. Inoltre, Haley rappresenta una presidenza che qualche giorno prima di quel test, quando il Nord provò il funzionamento di un missile balistico facendogli sorvolare il territorio giapponese, promise che non ci sarebbero state più parole (“Talking is not an answertwittava), ma proprio quella frase della risoluzione passata all’Onu sembra essere un’indicazione per l’inizio di un dialogo negoziale – che molte aree dell’amministrazione americana sostengono da sempre, nonostante certe uscite della Casa Bianca.

… E GLI ALTRI

Washington per sostenere la propria bozza di risoluzione aveva puntato sull’appoggio dei Paesi occidentali del CdS, ma dubbi c’erano. Diplomatici inglesi avevano detto al New York Times che il rischio di un embargo completo sul petrolio sarebbe stato quello di vedere online le fotografie dei bambini nordcoreani morti per congelamento, che il regime avrebbe mostrato per incolpare l’Occidente e l’America di “un genocidio” (anche se c’è uno studio dell’IISS secondo il quale il Nord avrebbe potuto aggirare anche un embargo petrolifero completo, sopperendo alle necessità energetiche con la liquefazione del carbone, di cui è produttore ed esportatore). François Delattre, l’ambasciatore francese, ha dichiarato che il sostegno unanime alla risoluzione definitiva, ossia quella a spinta russo-cinese, è stato “il miglior antidoto al rischio di guerra” – la scorsa settimana la Cina aveva invitato Parigi a prendere un ruolo più centrale nella gestione della crisi. (Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel la scorsa settimana ha suggerito che è tempo per iniziare una nuova serie di negoziati, e ha proposto il suo paese come membro partecipante dei talks).

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