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I paradossi dell’Italia mentre il capitalismo fa e disfa

Girando per gli ambienti tutto sebo e innovazione del belpaese, si scopre che la febbre per l’auto elettrica è in costante aumento. Tutti a citare Elon Musk. Tutti a criticare la pompa, con le batterie degli altri però. E la Tesla di qua, e la Tesla di là. Il fatto vero è che prima di vedere colonnine elettriche al posto dei cestini dei rifiuti, bisognerà aspettare che la forza vendita delle case automobilistiche abbia metabolizzato il cambio di paradigma. Fino a ieri, infatti, il piazzista doveva convincerti che facevi un sacco di chilometri perché doveva rifilarti la vettura diesel. Chi non ha o non ha avuto un 1.9 jtd sotto casa, con buona pace delle domeniche green? Oggi i piazzisti della Tesla, fortificati dall’ideologia green e dall’aura mistica di appartenere alla prima azienda di automobili americana che non sporca, non inquina e non ha niente a che vedere con Ford, per venderti una macchina ti deve convincere che praticamente con la macchina non cammini. Il capitalismo, cari miei, è fantastico. La Tesla è un prodotto che si vende perché non serve.

A Riyadh, che di sebo e innovazione hanno pieni i pozzi che hanno fatto della penisola arabica una groviera, con il petrolio a 50$ c’è poco da lapidare. Meglio dargliela sta patente alle donne e buonanotte. Almeno i consumi un tanticchia acchianano. Sperando, beninteso, che almeno una spaccazza davanti agli occhi gliela lasciano soprattutto per quando la devono tirare fuori dal garage.

A Pisa l’impresa abita all’università. W i professori universitari. Altro che Olivetti, altro che Jobs. Altro che Confindustria. Altro che Venture Capital. Ma chi te la fa fare ad andare dal commercialista, versare i decimi e aprire una srl quando con un posto da professore all’università puoi fare assumere ragazzi giovani e motivati con un assegno di ricerca che dura quanto il tempo di una sigaretta? Il fumo, però, notoriamente fa male.
La foto scelta per questo pezzo riporta i nomi dei vincitori del premio Leonardo della Camera di Commercio di Pisa. E dice tanto del sebo e dell’innovazione in questo paese.

A Milano, Letizia Moratti – non è un caso se ora al posto suo c’è la Fedeli – suona la carica all’establishment con un bell’endorsement delle società che operano nell’impact investing. Roba che è meglio puntare sull’auto elettrica.
Cioè, in questo paese già è impossibile convincere quelli con i soldi a metterli nelle cose che rendono, figuriamoci nelle cose che non rendono.
Il tema è serio. E non si capisce, dunque, perché specie in certi ambienti altolocati non si mettono la mano davanti quando qualcosa gli risale. Il tema vero è che oggi il lavoro non vale niente. Altro che 35 ore. Oggi, se non sei nato fortunato con terre, case e feudi, per portare a casa lo stipendio di ore ne devi fare 100.
L’impresa “sociale” è quindi un’impresa che deve inventarsi un business redditizio – non sia mai che prende sussidi o commesse pubbliche -, e che fonda la sua forza sulla manodopera o sulla mentedopera.
Praticamente un’azienda che sarebbe stata considerata normale fino a ieri e che oggi invece diventa “sociale”. Già, perché in questo mondo, nel frattempo, non c’è più bisogno neanche della commessa che ti fa provare i calzoni perché li compri direttamente sui internet. Perché, nel frattempo, non c’è più bisogno manco di Andrea Bocelli perché il robot canta meglio di lui. Tant’é.

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