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Trump con gli F-35 minaccia di colpire il Nord (senza che Kim se ne accorga)

Aerei americani, giapponesi e sudcoreani, hanno partecipato domenica 17 settembre a un’ultra esercitazione congiunta in cui è stato simulato un bombardamento sulla Corea del Nord. Si tratta, spiega testualmente il comunicato statunitense, di una “risposta al lancio di un missile balistico a raggio intermedio (IRBM) in Giappone il 14 settembre“.

MESSAGGI DA GUAM

Due bombardieri B-1B Lancer dell’Air Force Global Strike Command sono decollati dalla Andersen Air Base di Guam; la base, avamposto strategico americano in mezzo all’area più delicata del Pacifico, era stata minacciata da Pyongyang come un potenziale obiettivo, ed è tornata al centro della discussione la scorsa settimana perché il missile che ha sorvolato l’isola settentrionale del Giappone ha volato per circa 3700 chilometri, e questo significa che potenzialmente Guam (che è territorio sovrano americano) è raggiungibile da quel tipo di vettore missilistico, visto che si trova a soli 3200 chilometri dal sito di lancio nei pressi della capitale nordcoreana.

GLI F-35 E LE INCURSIONI FANTASMA

Ai due Lancer, che sono bombardieri strategici in grado di trasportare anche armi nucleari, si sono uniti quattro F-35B Lightning II del Corpo dei Marines (USMC), i più avanzati jet da combattimento attualmente sul mercato, decollati dalla Marines Corp Air Station di Iwakuni, in Giappone. È soltanto la seconda volta che il Pentagono decide di inviare in missioni d’esercitazione live-fire questi nuovi aerei stealth, e la questione in sé è di particolare interesse – due settimane fa il loro uso era stato accompagnato da una narrativa americana che più o meno diceva: siamo pronti a mettere in campo tutta la nostra panoplia per combattere il Nord, e dovete aver paura degli F-35. “La recente esercitazione di attacco al suolo svolta congiuntamente dall’USAF, USMC, ROKAF E JASDF è un chiaro segnale al leader nord coreano – commenta con Formiche.net Giuliano Ranieri, analista specializzato in questioni militari – e la presenza degli F-35B, variante a decollo verticale (STOVL del JFS (acronimo tecnico del velivolo, ndr) è un valore aggiunto”. Perché? “Il messaggio è che sono a disposizione anche assetti stealth, ossia invisibili ai radar, per eventuali sortite in profondità”.

IL SOSTEGNO DEGLI ALLEATI

I velivoli statunitensi sono stati accompagnati da quattro F-15K delle forze aeree della Repubblica di Corea (ROKAF) e due F-2, come i giapponesi chiamano la loro versione degli F-16 americani modificata dalla Mitsubishi per la Koku Jieitai (la Forza di difesa aerea del Giappone, JSADF). “La partecipazione sudcoreana e giapponese con F-15K ed F-2 – aggiunge Ranieri – testimonia invece la volontà da parte degli alleati locali di svolgere un ruolo attivo nello show of force che da mesi si sta svolgendo nella penisola coreana”. La missione ha seguito un copione già visto due settimane fa, dopo l’ultimo test nucleare di Pyongyang. I B-1 e gli F-35 decollati dal Giappone si sono raggruppati sopra le acque di Kyashu, e hanno volato in formazione congiunta su parte della linea di demarcazione del confine tra le due Coree. Arrivati nei pressi del poligono da bombardamento di Pilsung si sono riuniti con gli F-145 sudcoreani ed eseguito insieme l’attacco simulato al Nord.

LE DUE OPZIONI PER  TRUMP

Domenica, quasi contemporaneamente all’esercitazione congiunta, il presidente americano Donald Trump ha usato un modo geniale – di quelli che lo mettono in rapida empatia con la sua gente, o lo fanno trovare deplorevole dai nemici – per definire il dittatore nordcoreano Kim Jong-un: lo ha chiamato “Rocket Man”. Ma al di là delle uscite di Trump e della retorica tornata ai massimi livelli domenica, con Nikki Haley, l’ambasciatrice all’Onu, che ha detto che il tempo della pace è finito – antipasto per l’assemblea generale di questa settimana, che avrà occhi puntati anche sul dossier-Kim–, la questione nordcoreana è vista dall’inner circle come uno degli elementi su cui ci si potrebbe giocare la futura rielezione (sarà nel 2020, ma ci sono già le prime, importanti pezze a mollo). Due le soluzioni possibili, entrambe ad alto coefficiente di rischio: entrare in un confronto serrato e duro con la Cina, o l’azione militare. La prima ha un problema di fondo per rischiare di giocarsi le carte più aggressive con un enorme partner e concorrente commerciale: quanto la Cina ha effettivamente presa sul Nord? Pechino dice che è molto minore di quella che gli americani credono, Washington per il momento non vuole alzare troppo il livello di confronto – intnato attende la messa in pratica delle ultime sanzioni (quelle che, per volere cinese, hanno tagliato solo parzialmente l’import di petrolio, mentre gli americani volevano lasciare Pyongyang a secco per costringere il regime a piegarsi). La seconda opzione, quella militare, oltre che aspetti tecnici drammatici (le reazioni del Nord e l’uccisione di migliaia di persone) si porta dietro una bega politica: Trump potrebbe essere forzato a chiedere un’Authorization for Use of Military Force (AUMF) come dopo il 9/11, un’autorizzazione che metterebbe anche la Casa Bianca al sicuro, ricevendo per un eventuale attacco il sostegno della gente, attraverso il voto a favore dei congressisti eletti. Ma quanto è popolare una guerra? Dato fondamentale per un commander-in-chief che dice di essere “il presidente del popolo”.

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