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Perché è sbagliato sottovalutare la potenza nucleare della Corea del Nord

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I presidenti nordcoreani si sono sempre distinti per i fioriti insulti indirizzati ai loro omologhi statunitensi. Lindon Johnson era stato chiamato “cadavere vivente”; George W. Bush “tirannico imbecille”; Obamaclown e “scimmia”. Donald Trump, definito da Kim Jong-un (in foto) tra l’altro “vecchio e senile”, è stato il primo a rispondere per le rime. Ha ripetuto più volte che il giovane presidente nordcoreano è un “matto che gioca con i missili”. Lo scambio d’insulti continuerà. Fin qui nulla di particolarmente grave. Agli insulti si stanno però aggiungendo manifestazioni di forza. Le ultime sono state, da parte statunitense, il volo di bombardieri lungo le coste nordcoreane e, da parte di Pyongyang, i ripetuti esperimenti con missili che hanno sorvolato il Nord del Giappone, e quello di una presumibile bomba H, fatta brillare nel sottosuolo il 3 settembre scorso. Pyongyang ha ora minacciato di far esplodere un ordigno termonucleare sopra il Pacifico. Gli esperimenti sono pericolosi non solo come provocazioni, a cui prima o poi gli USA saranno costretti a reagire pesantemente per non compromettere la loro ormai ridotta credibilità, ma anche perché potrebbero causare danni per errore o per guasti tecnici. Qualora si determinassero danni agli USA o ai loro alleati, una pesante risposta americana sarebbe inevitabile. Finora è stata impedita dal timore delle perdite che la Corea del Nord potrebbe infliggere a quella del Sud e al Giappone. Tale timore ha di certo influito anche sulla decisione di Washington e di Tokyo di non cercare di abbattere i missili nordcoreani i loro sistemi antimissili. Ha influito, al riguardo, anche l’incertezza circa la capacità di tali sistemi di distruggere con sicurezza i missili e le loro testate, senza provocare danni involontari.

Qualora la Corea del Nord facesse veramente scoppiare un ordigno nucleare o termonucleare sul Pacifico, è del tutto probabile che qualche danno verrà subito dagli USA e dai loro alleati. Due tipi di danni sono possibili: ricadute radioattive in caso di scoppio aereo basso o in superficie; disturbi elettromagnetici in caso di scoppio aereo alto, cioè extra-atmosferico, dovuti all’EMP (Electro-Magnetic Pulse). In tal caso, è del tutto presumibile che Washington sia costretta a reagire e che la Corea del Sud, il cui sostegno è indispensabile per Washington in caso di conflitto, sia portata a superare la propria riluttanza a impiegare la forza e cerchi di avanzare rapidamente a Nord del 38° parallelo, per neutralizzare la minaccia posta a Seul dall’artiglieria convenzionale nordcoreana.

L’EMP può provocare gravi danni ai sistemi elettronici. Potrebbe anche causare blackout alla rete elettrica, del tipo di quello verificatosi nel 1950 alle Hawaii dopo un esperimento nucleare USA, oltre all’inabilitazione delle reti radio e televisive, come avvenuto in Australia a causa del medesimo esperimento. Per inciso, gli Stati Uniti hanno sviluppato bombe elettromagnetiche, destinate a scoppiare a un’altezza di 30-50 km, cioè al di fuori dell’atmosfera. Taluni esperti ne ritengono l’uso preferibile a quello di attacchi chirurgici con bombe nucleari miniaturizzate contro forze e, soprattutto, città nemiche. Gli USA dispongono di un consistente numero di testate miniaturizzate o specializzate, nella penetrazione in profondità, nella produzione di fasci neutronici e nell’EMP. Anche durante la presidenza Obama, hanno continuato a produrle e a perfezionarle.

Le testate nucleari miniaturizzate sono generalmente a potenza variabile, come B-61 ancora schierate in Europa, con potenza da 0,3 a 80 chilotoni o KT (un KT esprime una potenza esplosiva pari a 1.000 tonnellate di tritolo). Di potenza variabile entro la medesima gamma sono le testate W-80, montate su cruise terrestri o aviolanciati. Trump non può proprio lamentarsi di questa eredità lasciatagli da Obama.

La corsa alla miniaturizzazione delle testate nucleari si è accelerata dopo la fine della guerra fredda. In essa, la strategia nucleare delle due superpotenze era dominata dalla MAD (Mutual Assured Destruction) e gli arsenali nucleari sovietico e americano erano costituiti soprattutto da bombe di grande potenza, destinate alla dissuasione reciproca. La miniaturizzazione e la specializzazione delle armi nucleari è oggi perseguita perché le dottrine strategiche prevedono l’uso limitato e controllato delle armi nucleari. Nella dottrina strategica di Mosca, le armi nucleari compensano, come avveniva nella NATO durante la guerra fredda, l’inferiorità convenzionale della Russia nei confronti dell’Occidente. Il loro impiego non è più considerato come “ultimo ricorso”, in caso di minaccia alla sopravvivenza della nazione. Non lo è neppure per Trump, almeno nei confronti della Corea del Nord. Gli USA non possono rischiare che l’impiego di armi nucleari di grande potenza causi ricadute radioattive in Cina o in Russia. Le loro bombe convenzionali di potenza e di capacità di penetrazione in profondità simili a quelle delle mini-bombe nucleari, non sono sufficienti a distruggere o a degradare grandemente le forze missilistiche, le armi nucleari e le artiglierie convenzionali nordcoreane in grado di colpire Seul, anche perché le armi nucleari miniaturizzate possono essere lanciate anche dai cacciabombardieri e dai cruise disponibili dagli USA in gran numero e non solo dai bombardieri e dai missili strategici necessari per le maxi-bombe convenzionali, che pesano dalle 7 alle 15 ton.

Beninteso, il ricorso al nucleare susciterà nel mondo forti reazioni negative. Dovrebbe apparire chiaramente giustificato. Le minacce di Kim Jong-un non sono tali. Forse non lo sarebbe neppure l’esperimento di scoppio termonucleare nell’atmosfera sopra il Pacifico. Occorre, comunque, tener conto del rischio di errore o d’incidente tecnico. Finora gli scienziati nordcoreani si sono dimostrati capaci. C’è da augurarsi che continuino ad esserlo. Sono in gioco non solo il rischio della scomparsa del “tabù nucleare”, ma anche gli equilibri dell’intero sistema Asia-Pacifico e la credibilità degli USA, essenziale per mantenere quanto resta dell’ordine mondiale.

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