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Che cosa ha detto (e come è stato accolto) Marco Minniti dai Fratelli d’Italia di Meloni ad Atreju

Applausi, fischi e omissioni. Il ministro dell’Interno Marco Minniti conquista la platea di Atreju, ma solo a metà. L’incontro è stato introdotto da Fabio Rampelli, capogruppo di Fratelli d’Italia che già in settimana aveva incalzato il titolare del Viminale su temi che anche ieri sono rimasti inevasi come, per esempio, il problema dei campi rom e dei roghi tossici.

È vero che si trattava di un’intervista affidata a Mario Giordano e Gian Micalessin ma sorprende come lo ius soli non sia stato nominato nemmeno una volta in un’ora e mezza. Non sappiamo se dietro ci sia stato un tacito accordo tra il ministro e i due giornalisti ma è indubbio che lo ius soli è il provvedimento che, nei primi due giorni della manifestazione, è stato più duramente contestato. Detto ciò va riconosciuta a Minniti la capacità di sfuggire al confronto col suo predecessore e di conquistare il pubblico con aneddoti sul Ventennio. “Ringrazio per gli apprezzamenti positivi ma non per quelli comparativi”, dice riferendosi ad Alfano. Parlando, invece, della sua prima esperienza a Palazzo Chigi risalente a 19 anni fa come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, racconta che gli venne assegnata la stanza in cui c’era la scrivania di Mussolini. “Non dite niente a Crozza…”, si raccomanda inizialmente Minniti ma, poi, conclude l’aneddoto ricordando che “Giuliano Ferrara scrisse che quella scrivania era in buone mani…”. Un altro ricordo, grazie al quale “Crozza potrà fare un’altra puntata…” risale alla sua esperienza da sottosegretario alla Difesa con delega all’Aeronautica. Anche in questa occasione nella stanza di Minniti non manca un cimelio di Italo Balbo, un altro ‘eroe’ del Ventennio: “La stanza è enorme e c’è una parete intera con scritto a caratteri cubitali ‘chi vola vale, chi non vola non vale, chi vale e non vola è vile’; anche uno che non volesse vederlo ogni mattina era là”. “E – questo – ha concluso Minniti tra gli applausi calorosi del pubblico – non è cultura della destra, mi pare cultura della vita positiva, che uno debba assecondare le proprie passioni soprattutto se non contrastano con le passioni di un altro”. I mugugni arrivano quando si parla del capogruppo Pd, Emanuele Fiano, relatore di una contestata legge che, se passasse, vieterebbe persino di vendere i pericolosissimi calendari con l’effige di Mussolini. Fiano, secondo Minniti, è “un parlamentare serio” ed il disegno di legge ha l’obiettivo di sancire un principio “ovvero che in Italia dobbiamo avere una destra che su alcuni temi deve avere il coraggio di fare i conti fino in fondo”. “Quella storia è stata drammatica ed è finita per sempre”, aggiunge beccandosi nutriti fischi.

Il ministro dell’Interno, però, riscuote una fredda e timida approvazione quando parla di immigrazione. Premette che “i flussi migratori non possono essere fermati ma vanno governati” e, poi, si difende dall’accusa di aver attuato dei respingimenti: “Abbiamo solo addestrato la guardia costiera libica che ha già messo in salvo 16mila persone”, spiega. Minniti, poi, rivendica di aver messo d’accordo le tribù libiche e di aver trovato un’intesa col governo riconosciuto di Tripoli: “Io avevo due strade: dire che l’Europa non faceva la sua parte, ma non era sufficiente: io dovevo dimostrare che l’Europa non faceva la sua parte, ma che l’Italia sapeva fare qualcosa”. Quando il discorso passa sulle occupazioni abusive si scalda anche il direttore Mario Giordano che incalza il ministro sul tema della legalità spiegando, appunto, che lo status di rifugiato non può far venir meno il rispetto della legge.

“Io sono sempre per rispettare il principio di legalità. Se uno occupa illegalmente un posto deve essere sgomberato ma la legge, che io condivido, prevede anche che di fronte a situazioni come donne o bambini e quindi di particolare fragilità valga anche un principio di umanità”, sottolinea affermando un principio bipartisan che, però, viene accolto dai fischi e dal brusio dei presenti. Forse è questo il primo round in cui il ministro viene messo ko da Giordano che ribadisce l’ingiustizia che traspare dalla scelta, seguita dai fatti di piazza Curtatone, di sgomberare un edificio occupato da rifugiato soltanto dopo che si è trovata un’alternativa. “Per gli italiani che aspettano una casa da anni questo non avviene”, dice il direttore del Tg4. Minniti recupera sul finale quando parla del patto siglato con la comunità islamica sulla regolamentazione dell’attività delle moschee, sull’obbligo degli imam di usare l’italiano per leggere i loro sermoni: “Due sono gli elementi non negoziabili: – dice – la legge dello Stato non è sottoposta a quella religiosa e la donna non può essere in alcun modo succube dell’uomo”. Al termine dell’incontro Marco Minniti fa pensare più a un Vincenzo De Luca dall’eloquio raffinato che a un nuovo paladino della destra italiana. Nel complesso, però, il ministro piace. Quantomeno più di Alfano, ma non ci voleva molto…

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